Mostra a Palazzo Arese Borromeo, aprile 2015

Nell’aprile 2015 a Palazzo Arese Borromeo si concretizza la mostra antologica di Corrado Mauri, le cui motivazioni si possono leggere nel testo di introduzione nella sezione “Corrado Mauri”, ovviamente Mauri ha voluto esporre anche le opere degli allievi della DOMUS PICTURAE, che ritiene parte integrante della propria attività artistica, anzi come specifica: “Un grazie di cuore ai miei allievi, perché grazie e con loro, continuo a…dipingere”.

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2015 – “Tracce di contemporaneo”

Esposte nelle sale del seicento di Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno

In questi mesi, estate  2015, nelle Sale del piano nobile di Palazzo Arese Borromeo, è presente una mostra “Tracce di contemporaneo” con opere che dagli anni cinquanta-sessanta del Novecento arrivano ai nostri giorni  provenienti da collezioni private della Brianza.  Aspetto a cui è stata molto attenta la curatrice della mostra Simona Bartolena, sottolineando quanto sia presente nella operosa Brianza anche una sensibile capacità di selezione e di gusti personali nel collezionismo, appunto, brianteo. Continua a leggere

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I ritratti di Bartolomeo e Lucrezia

I RITRATTI DEL CONTE BARTOLOMEO III ARESE E DELLA CONTESSA LUCREZIA OMODEI ARESE DI CARLO FRANCESCO NUVOLONE

 Corrado Mauri

La generosità di un cittadino di Cesano Maderno, particolarmente affezionato a Palazzo Arese Borromeo e partecipe sin dall’inizio alle varie attività di studio e valorizzazione, ha permesso a tutti di godere della presenza, nella Sala dei Fasti Romani, di un notevole ritratto del Conte Bartolomeo III Arese, opera di Carlo Francesco Nuvolone, pittore tra i più significativi del barocco lombardo.  Il caro amico lo ha scoperto casualmente in uno stand di una mostra di antiquariato a Parma e, riconosciuto Bartolomeo, mi ha trasmesso delle immagini scattate per avere una conferma, non tanto sul personaggio ritratto, su cui non aveva dubbi, quanto sul pittore. Alla mia immediata conferma che l’autore era indubbiamente Carlo Francesco Nuvolone è continuata la bella avventura, per concretizzare il desiderio dell’amico che, come se fosse stato “chiamato” dallo stesso Bartolomeo, si era posto il fine di portarlo nel suo Palazzo.  Dopo trattative ed accordi in gran segreto, finalmente il dipinto  acquistato dall’amico  giunge nella sua casa a Cesano, e come è stato per il compratore, anche in me, nell’ammirarlo l’emozione è stata forte e ha suscitato di conseguenza un grande entusiasmo.  Interpello l’amico Alessandro Morandotti e portiamo l’opera a Milano da sua moglie, l’esperta restauratrice Carlotta Beccaria, restauratrice, tra l’altro, di Casa Borromeo. Entrambi confermano, senza ombra di dubbio, l’autore. Mentre iniziano i restauri, si prospetta al sindaco di Cesano Maderno Gigi Ponti il desiderio di cedere l’opera in comodato al Comune con l’impegno di esporlo permanentemente a Palazzo Arese Borromeo. La sensibilità dell’amico sindaco e la sua adesione è stata immediata. Così, dopo quasi due anni, domenica 18 settembre 2016 si è svolta l’inaugurazione ufficiale e si è concretizzato, il desiderio iniziale, con grande gioia e viva soddisfazione da parte di tutti.

L’antiquario di Alessandria da cui l’amico ha acquistato il ritratto di Bartolomeo III, aveva detto che suo padre aveva comprato il dipinto direttamente da Casa Borromeo nell’immediato dopoguerra e che aveva acquistato anche un ritratto femminile che, con l’altro, costituiva una coppia.  Questo, successivamente, era stato ceduto ad una Fondazione Bancaria. La scorsa primavera Massimo Rebosio, socio dell’Associazione Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo ha scoperto in internet, in vendita presso la Casa d’Aste Bolaffi a Torino, un dipinto di “Dama del seicento”, attribuito a Carlo Francesco Nuvolone: misure, tipologia della cornice dorata nelle parti a rilievo e relativo colore verde salvia nella parte piatta(anche il ritratto di Bartolomeo aveva questa  colorazione salvia tolta nei restauri, col recupero della colorazione nera originaria), targhetta metallica a punte, corrispondevano puntualmente a quelle del ritratto di Bartolomeo, ma soprattutto era innegabile lo stile di Carlo Francesco e quindi la possibilità di trovarsi difronte al ritratto di Lucrezia Omodei Arese era praticamente certa.

Interpellato anche l’amico, proprietario del Bartolomeo, l’Associazione ha informato l’Assessorato alla Cultura di quanto si era venuti a conoscenza, formulando poi ufficialmente all’Amministrazione Comunale una richiesta di intervento diretto per l’acquisto dell’importante dipinto al fine di arricchire e aggiungere un ulteriore fondamentale componente storico al patrimonio artistico e culturale di Cesano Maderno e di Palazzo Arese Borromeo in particolare. La risposta è stata positiva, così lo splendido ritratto di Lucrezia Omodei Arese affianca ora quello di Bartolomeo III, andando a comporre quello che, da ora in poi, sarà il fulcro della conoscenza e dell’incontro col nostro Palazzo. Non posso ora non ringraziare e complimentarmi col sindaco Longhin, l’Assessore alla Cultura Boldrini, l’Ufficio Cultura nella persona della dr. Sullo e chi ha dato il suo apporto e contributo, per la scelta responsabile e cosciente, non facile, fatta in un momento del tutto particolare come quello che stiamo attraversando, ma significativa per mantenere costante il percorso della autentica conoscenza storica e culturale. Ovviamente non sono mancate sterili e squallide polemiche, semplice dimostrazione di quanto sia imperante, e da non sottovalutare, la cosiddetta ignoranza di ritorno.

Per comprendere meglio le caratteristiche dei ritratti di Bartolomeo e di Lucrezia del Nuvolone è opportuno prendere atto di un breve excursus dell’artista che è indubbiamente, se non il maggiore, uno tra i più abili e importanti pittori del barocco milanese e lombardo.

Carlo Francesco Nuvolone (1608/9 – 1661/2), figlio del pittore cremonese Panfilo, frequentò l’Accademia Ambrosiana (fondata dal Cardinal Federico Borromeo) sotto l’insegnamento del Cerano (Giovan Battista Crespi), risentendone stilisticamente nella fase giovanile, anche se nella sua pittura non mancano riferimenti a Giulio Cesare Procaccini, ove riscontriamo una esecuzione di tocco immediato e rapido. Consistente la produzione di Pale d’altare e negli anni Quaranta, grazie a contatti con la pittura ligure e a influenze emiliane, in particolare Correggio, mitigò la tensione lombarda, manifestando accenti di morbidezza e consolidando un linguaggio più sciolto e maturo all’interno di una struttura disegnativa fluida, aderendo così al Barocco.  Le numerose pale d’altare, in cui l’adesione al nuovo stile è ormai manifestamente evidente tramite linea e colore che avvolgendosi in un moto continuo concorrono a determinare la nuova concezione spaziale in cui luci ed ombre si rapportano in dinamico equilibrio, sono distribuite nelle regioni dell’Italia settentrionale, soprattutto Piemonte e Lombardia. Questo ne conferma la fama, accresciuta anche grazie ad importanti cicli decorativi: gli affreschi della Cappella di S. Michele alla Certosa di Pavia (1645-8), le Cappelle III (Natività) e V (Disputa tra i dottori)  del Sacro Monte di Varese (1650), in collaborazione col fratello Giuseppe, più giovane, la X Cappella (Vittoria di S. Francesco sulle tentazioni) al Sacro Monte di Orta, eseguita nel 1654. Consistente anche la produzione da cavalletto per collezionisti privati con soggetti tratti da vicende bibliche o mitologiche, nonché dalla poesia epica rinascimentale, sempre con modalità stilistiche delicate e suadenti.

Queste non vengono meno neanche nell’ambito del ritratto: l’Autoritratto della famiglia Nuvolone (1650 c. Brera Pinacoteca) in probabile collaborazione col fratello Giuseppe, ne è un esempio eclatante. Successivamente: Manfredo Settala (1646), Don Giovanni d’Austria (Governatore dei Paesi Bassi 1656), Luigi Cusani (1653), sono alcuni degli importanti personaggi ritratti da Carlo Francesco ed ovviamente i nostri Lucrezia e Bartolomeo, che era senza dubbio il committente del ritratto di Maria Anna d’Austria, sua ospite in Milano nel 1648, durante il viaggio a Madrid per il matrimonio con Filippo IV, ritratto purtroppo andato perso o non ancora scoperto e noto solamente attraverso delle copie. Specie nel ritratto, l’intelligenza del Nuvolone si dimostra nella capacità di rendere propria e trasformare in modalità personali la lezione del Van Dyck, che avviene per i contatti con la pittura genovese; stretto il rapporto tra Milano e Genova in questi decenni e non solo nell’ambito artistico.

Nel ritratto di Bartolomeo vediamo con chiara evidenza le caratteristiche stilistiche del Nostro: pennellate piene e dense di materia, trattate con estrema delicatezza che, nel rendere la morbidezza dei passaggi di luce verso l’ombra e le variazioni tonali dell’incarnato, modellano il volto con estrema cura. Ciò rivela la grande capacità di cogliere ed esprimere il carattere del personaggio, anche se l’attenzione alla fisionomia non puntualizza le specifiche caratteristiche, evitando qualsiasi irrigidimento espressivo.  Bartolomeo è uomo dal carattere forte e deciso, aspetto che percepiamo puntualmente, ma reso tramite una sottile e sensibile morbidezza che ci attrae verso di lui, non ce lo rende distante e distaccato. Il suo sguardo intenso è ben rivolto verso di noi, è severo ma benevolo, colto in un momento di sospensione, di attenzione e studio prima dell’inizio di un colloquio. Altrettanta cura è nelle due mani, caratterizzate da morbidezza di modellato, puntuale resa dell’anatomia, ma senza gesti significativi e precisi: nella destra tiene, senza stringere, una lettera tipico strumento delle attività politico amministrative del Presidente. Anche loro sono come sospese, in attesa di un gesto esplicativo.  Il fascino di questo splendido capolavoro è notevole, è colto lo spirito, il carattere del soggetto: grande determinazione avvolta ed addolcita dalle sue fondamentali e sensibili convinzioni culturali.

Il senso di spazio e di atmosfera che percepiamo, contribuiscono efficacemente a questa sensazione di pausa.  L’idea che questo dipinto sia il prototipo che il Nuvolone  eseguì con davanti l’Arese, quindi “studiandolo”, mi convince sempre di più e mi confortano in tale ipotesi alcuni particolari: la straordinaria concentrazione sul volto e sulle mani, mentre il resto, sebbene non sia trascurato, è  condotto con una scioltezza e sicurezza notevoli, tipiche di chi su questi aspetti secondari si concentrerà nelle copie successive (nelle quali troviamo anche scritto il nome del personaggio che qui è mancante); è dunque un dipinto con esigenze più di repertorio di bottega che vero e proprio ritratto ufficiale. A sottolineare le caratteristiche rappresentative di questo particolare ritratto, basta osservare il colletto ed i polsini della camicia che, realizzati con semplici e sicuri colpi di bianco, ne danno più l’idea che la sostanza, è quasi assente la base bianca per la stoffa della camicia, che è come trasparente, è il tono del fondo che vediamo nel colletto e quello dell’abito nei polsini, inoltre nessun particolare è curato ed evidenziato come nel resto della sua ritrattistica, gli stessi capelli sono una massa morbida ma compatta che non indugia su particolari onde o riccioli.

Di questo dipinto non abbiamo riscontro, almeno sino ad oggi, negli inventari, in particolare in quelli di Cesano, ed auspichiamo in tal senso una prossima ricerca Ovviamente, se è come penso, dopo la morte di Bartolomeo il dipinto rimane definitivamente nella residenza della famiglia, infatti non aveva più ragione di rimanere, o essere portato di volta in volta nella bottega dei Nuvolone o di altri pittori (vedi Giacinto Santagostino) per trarne delle copie da omaggiare o consegnare per esigenze rappresentative, visti i tanti incarichi del Presidente Arese.

Incerta la datazione anche se, sia lo stile pienamente maturo di Carlo Francesco, sia l’età manifestata da Bartolomeo potrebbero collocarlo dai primi alla metà degli anni quaranta. Nel 1641 Bartolomeo è nominato Presidente del Magistrato Ordinario, uno degli incarichi di maggior prestigio nella Milano dell’epoca, e disporre di bei ritratti è una precisa esigenza.

É indubbio che di fronte al ritratto di Lucrezia Omodei Arese si formulano due identiche ed immediate constatazioni: che Lucrezia era una donna molto bella e che altrettanto molto bello è il dipinto. La fortuna, quindi, di poterlo ammirare accanto al ritratto di Bartolomeo è importante e fondamentale per almeno tre motivi: il confronto-legame tra i due personaggi, il confronto artistico tra i due dipinti e quanto, almeno personalmente, la presenza della coppia sia un valore aggiunto per un rivedere e rivisitare i significati del Palazzo stesso.

Iniziamo dai due ritratti. La posizione in cui sono state collocate le due opere era senz’altro anche quella originale, con Bartolomeo a sinistra e Lucrezia a destra. I due busti, visti di tre quarti, si fronteggiano rivolgendosi uno verso l’altro, altrettanto i due volti, più frontale quello di Lucrezia, ma lo sguardo di entrambi è verso di noi, che li osserviamo a nostra volta. La mano destra della dama poggia sul pomo del sedile puntando verso l’altro ritratto e  stabilendo così un rapporto formale. Bartolomeo è seduto mentre Lucrezia è in piedi, differenza sostanziale onde non rendere monotona la visione delle due figure, una eccessiva simmetria appiattisce la visione. Ma il taglio di tre quarti della figura è identico per entrambi, con le mani alla stessa altezza. Gli elementi del fondo si rapportano: la tenda rossa è alle spalle di Bartolomeo a sinistra, nella dama, sempre rossa ovviamente, è invece a destra, chiudendo così, idealmente, lo spazio in cui i due personaggi si trovano, pur in due dipinti separati.  Anche nel fondo l’intenzione è di riunire lo spazio, quello di Bartolomeo è in ombra uniforme, una lieve luminosità è lungo la manica sinistra onde sottolinearne il disegno, questa ombra la ritroviamo puntualmente alla sinistra della parete alle spalle della contessa, che poi è rischiarata da una soffusa luminosità, sul delimitare dell’ombra un fiocco accentua il gioco della luce, che dà senso atmosferico e misura spaziale al dipinto.

Senza dubbio il dipinto col Bartolomeo è antecedente, ma non di molto, considerando le identiche e precise modalità stilistiche, probabilmente l’idea di costituire la coppia arriva subito, ma non oltre la metà degli anni quaranta. Ed è la grande capacità artistica del Nuvolone, pur mantenendosi nelle puntuali modalità del ritratto ufficiale, a rendere i due dipinti dipendenti l’uno dall’altro, in uno stretto rapporto, sottolineando così quello vero e reale della coppia e realizzando la composizione del ritratto femminile, che è successivo, con accorgimenti tali da creare tale unione.  Infatti, quel senso di sospensione che abbiamo visto nel Bartolomeo lo ritroviamo anche nella Lucrezia che nel suo porsi in posa dà più la sensazione di studiarci per decidere poi come atteggiarsi.

Lo vediamo nelle due mani, la destra praticamente sfiora il pomo, il pollice non si avvolge a questo e l’indice è sospeso, la sinistra è abbandonata, sfiora l’abito, solo l’anulare si piega all’interno, creando una zona d’ombra onde far risaltare la luce sul mignolo e determinare un maggior senso di volume alla mano, accentuato anche dalla maggior luminosità del polso. Nessun anello. Le mani non compiono alcun gesto specifico.  Uno dei gioielli indossati è la collana di perle che sembrano, però, più di cristallo per la loro limpida trasparenza che non bianche opache, infatti sotto di esse permane il tono dell’incarnato, solo il colpo di luce di ognuna dà loro risalto.  Punti luce che abbiamo anche sugli orecchini che si evidenziano praticamente solo per questi. E qui, nel costruire il contorno del volto, abbiamo uno dei più straordinari esempi di intelligenza pittorica, che si concretizza nell’uso attento della luce più che del colore ( questa è una delle lezioni che ho sempre cercato di far intendere ai miei allievi, il pittore che capisce l’uso e l’importanza della luce più del colore, ha risolto buona parte dei suoi problemi). Il volto di Lucrezia risplende nella sua pallida luminosità, che si riscalda lievemente nelle guance con un rosato leggero, tutto intorno abbiamo un giocare di variazioni di bianchi sulle ombre e sui neri nella parte bassa del volto. Abbiamo visto collana ed orecchini, ma altrettanto fondamentale è il colletto dell’abito nero che si adegua puntualmente alle esigenze compositive del volto. A sinistra il colletto col pizzo a merletto si solleva maggiormente che non a destra e si infila sotto i capelli onde non lasciare alcun vuoto che interromperebbe il legame tra la testa e il busto. Con grande attenzione il Nuvolone diminuisce la luminosità del merletto man mano che questo va sotto i capelli ed addirittura percepiamo la differenza dei bianchi nel passaggio dall’abito nero al tono bruno verde del fondo. A destra invece è l’ombra intensa che lega colletto e la compatta acconciatura in cui sono decisamente ridotti i possibili giochi di luce. È probabile, come suggerisce Rebosio, che si tratti di una parrucca alla spagnola, alleggerita da qualche tocco rosso spento sulla destra, un probabile nastro.

Di grande e raffinata eleganza è l’abito, di un nero con tonalità fredda, in cui il sensibile variare delle luminosità dei ricami bianchi e dei bottoni argentati in un richiamarsi di giochi geometrici compone come un piccolo firmamento che richiama ed esalta il pallore della splendida Lucrezia. Il cui volto ha un ovale appena allungato e dalla fronte spaziosa, con occhi, naso (lievemente allungato) e bocca regolari e ben disegnati, con una accentuazione del labbro inferiore, ma questa è una delle particolari costanti caratteristiche di Carlo Francesco Nuvolone; la riscontriamo, ad uno sguardo attento, anche nello stesso Bartolomeo. Ma ciò che più colpisce ed è il punto di maggior splendore del dipinto, sono gli occhi, ben disegnati e quasi simmetrici,

diversamente da quanto abbiamo riscontrato nel Bartolomeo, con iride e pupille non centrali ma che guardano a sinistra e intensi nello sguardo, che è esaltato appunto dal nero più vivace del quadro, un nero, giustamente, di tono più caldo e forte, rispetto a quello dell’abito.  Ed è proprio questo specifico sguardo che dà la percezione di una personalità autonoma e determinata in Lucrezia, che nei documenti a disposizione, può essere solamente intuita[1].

[1] dal libro di Cinzia Cremonini Alla corte del Governatore: “Le ricerche di Signorotto e Àlvarez Ossorio hanno messo in luce il grande rilievo che sembrano aver avuto dal punto di vista cerimoniale e politico le figure femminili che, per nulla secondarie o ininfluenti, contribuivano esattamente come gli uomini a stringere legami e determinare gli assetti  politici”. Biblioteca Ambrosiana, Milano – Bulzoni Ed. Roma 2012

Nata nel 1612 ( data confermata da recente comunicazione di Sergio Monferrini) da Carlo I Omodei ( famiglia di hombres de negocios ed economicamente potente) e  Beatrice Lurani, pare che compia viaggi in Europa al seguito dello zio Emilio Omodei. Nel 1628 si sposa con Cesare Visconti Borromeo e nel 1630 nasce la figlia Anna, nel marzo 1633 rimane vedova per l’assassinio del marito. Nel 1634 in seconde nozze sposa Bartolomeo Arese, nascono Giulia, Margherita e Giulio II. Donna religiosa, dopo la morte del Presidente Arese Lucrezia, come scrive il Conte Guido Borromeo Arese nella sua cronistoria di Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno (iniziata nel 1927), ”si ritirò in un convento ove trascorse la sua vedovanza in opere di pietà e di carità” a Milano. Si tratta del Monastero di S. Filippo Neri, nel cui ambito si doveva trovare un collegio di religiose “Schiave di Maria” a cui lo stesso Bartolomeo lasciò un reddito di £ 5000 a condizione che si riducessero a clausura dopo la morte di sua moglie donna Lucrezia, avvenuta nel 1687. Su suo desiderio, ella venne sepolta sotto l’altare della relativa chiesa, restaurata, col Monastero, dall’Architetto G. Quadrio, per volontà della stessa Contessa.  Nell’ottocento il complesso divenne una Caserma di artiglieria che nel 1932 venne abbattuta per far posto al nuovo Palazzo di Giustizia di Milano. Nell’occasione si riscoprì la cripta in cui vi era il sepolcro della Contessa, con la relativa lapide dedicataria, e quelli delle religiose. Va però puntualizzato che donna Lucrezia si riservò il diritto all’uso di un appartamento personale sia in Palazzo Arese di Milano che in quello di Cesano. Il suo fu quindi un isolarsi relativo, mantenendo rapporti costanti soprattutto con le famiglie.

Ritornando allo sguardo forte, intenso ed anche indagatore, mi è decisamente facile sottolineare con convinzione la percezione di un carattere non sottomesso, alquanto indipendente. Da qui, di conseguenza,  altrettanto spontaneo immaginare, sicuro di non fare poesia, quanto queste due straordinarie personalità, Lucrezia e Bartolomeo, colloquiassero silenziosamente intrecciando l’intensità dei loro sguardi.

A questo punto non posso non pensare ad un dipinto che si trova nelle Collezioni Borromeo Arese all’Isola Madre sul Lago Maggiore, che sulla bella cornice ha una targhetta con scritto:

IGNOTO – Contessa LUCREZIA OMODEI Arese (Madre della Contessa GIULIA Arese BORROMEO)

Tenendo ovviamente conto di quanto una targhetta aggiunta in epoca successiva non sia assolutamente una prova, questo dipinto è, anzi oggi diciamo era, probabilmente una delle poche e possibili immagini conosciute di donna Lucrezia ed accostandola all’odierno ritratto ritrovato non possiamo che confermarne l’assegnazione, riscontrando la stessa fisionomia. Il busto qui è frontale, mentre la leggera posizione di tre quarti del volto dall’ovale regolare, è identica al “nostro”: ampia fronte su cui si stagliano due riccioli “ribelli”, sopraciglia ben staccate con andamento regolare nel loro lieve arcuarsi, occhi perfettamente regolari con la palpebra ben evidente e continua, iride scuro quasi nero, naso lievemente allungato, labbra ben disegnate e proporzionate, una lieve piega che sottolinea la rotondità del mento. Al collo un doppio filo di perle, anche qui, piuttosto trasparenti, ma abbiamo anche una sottile catenina d’oro con appesa una croce, suddivisa in sei piccoli rettangoli in rilievo, forse d’argento. L’abito in stoffa damascata a tre toni presenta una leggera scollatura profilata da una impalpabile bordatura chiara, come di moda alla metà seicento, il grande fiocco nero al centro è ripreso nei due grandi orecchini. Molto delicata la modellazione dell’incarnato, a nascondere le singole pennellate, sia del volto sia delle spalle e della parte alta del busto, con una sensibile attenzione ai lievissimi passaggi chiaroscurali.

Ma è lo sguardo ad attirare l’attenzione, anche in questo ritratto è senz’altro l’aspetto più significativo, l’iride e la pupilla, praticamente neri, non sono centrali, guardano verso sinistra e accennano lievemente verso il basso, offrendoci, anche qui,  un’espressione come sospesa, attenta e vivace ma senza compromettersi apertamente. Insieme ai due riccioli ci trasmette la netta sensazione di una personalità alquanto vivace e sicura di sé. L’aspetto è, però, indubbiamente più giovanile, siamo ai primi anni del matrimonio con Bartolomeo e quindi alla metà degli anni trenta, Lucrezia è sui 22/24 anni, all’incirca una decina d’anni prima del ritratto di Palazzo Arese Borromeo.  La corrispondenza trovo che non sia solamente nelle fattezze della nobildonna ritratta, ma nelle stesse modalità pittoriche, come la grande attenzione alla luce che, unica, si fa modulatrice sensibile di tutto, basti osservare il maggior candore della spalla e del busto che viene lievemente sempre meno andando verso l’ombra, mentre nel volto il tono è, sempre con minutissime variazioni, più caldo, arrivando al rosato delle guance, il tutto con una pittura compatta. Altrettanto delicato il gioco delle luci sull’abito, senza nessun contrasto nel passare all’ombra e colpi luminosi dosati e leggeri sul fiocco, con una pittura di tocco attenta e ben dosata. Il fondo è uniformemente scuro, il dipinto deve essere stato successivamente ridotto nelle sue dimensioni in quanto l’ovale in cui è inserito il ritratto è interrotto e non centrato dalla cornice attuale. Non trovo quindi assolutamente un azzardo, ma una concreta possibilità, pensare che questo ritratto possa essere opera della prima maturità di Carlo Francesco Nuvolone, vista anche la sua costante collaborazione con casa Arese.

Mettere in stretto rapporto il ritratto di Lucrezia Omodei, riscoperto e reso pubblico da pochi giorni, con un altro ritratto di Carlo Francesco Nuvolone,  e quindi mai messo a suo confronto, la cui attribuzione da parte di Mina Gregori è ormai ampiamente accettata, è decisamente intrigante. Si tratta del “Ritratto di dama” delle collezioni comunali di Bologna, in Palazzo D’Accursio, che è a figura intera.

La postura delle due dame è praticamente identica, le figure sono quasi sovrapponibili, dire gemelle è poco, ma una differenza è sostanziale: la tipologia del ritratto. Intimo e riservato, ad uso familiare il “nostro”, pubblico ed ufficiale, da qui la figura intera, quello bolognese. Come risolve Carlo Francesco questa diversità? In primis con lo strumento della luce: delicata e soffusa sia sulla figura sia sul fondo nella dama a tre quarti, mentre su quello a figura intera è la luce che esalta il tutto, in particolare i colori, che hanno un timbro più carico. Luci ed ombre esaltano i singoli elementi, ed ovviamente il pallore della dama è centrale, ma non da meno l’accentuazione luminosa di componenti fondamentali dell’abito, che è dello stesso modello dell’altro, ma più ampio e sontuoso, anche se mancano i ricami ed i bottoni in argento. Qui abbiamo un grande e raffinatissimo colletto rigido a ventaglio, ricamato a merletto con un filo dorato sul bordo e uno rosso pallido sul profilo del collo; una grossa spilla a fissarlo sul petto. La collana di perle sempre trasparenti, ma più articolata, l’acconciatura ben evidenziata dalla luce che dà risalto alla serie accostata dei boccoli sopra l’ampia fronte, quello centrale scivola leggermente in basso creando come una goccia scura che interrompe la rotondità e, guarda caso, è un particolare che rileviamo anche nel ritratto cesanese. Altri boccoli si sciolgono all’altezza del collo accostandosi agli orecchini a pendente, un nastro avvolge i capelli raccolti sulla nuca e due fiori rossi occhieggiano civettuoli dalla acconciatura perfetta.  Una lunga collana a grossi anelli e motivi vegetali che si intrecciano fuoriesce dall’attaccatura delle alte spalline con le ampie maniche aperte, e pittoricamente sulla parte scura del busto accompagna la luce che poi si amplifica nuovamente nel ricco gioco dei polsini a volant, nella luminosità delle due mani (l’anulare della sinistra qui ha un anello) che tengono molto probabilmente un libretto di preghiere ed un ventaglio di piume con fiocco bianco, anche questo determinante per mantenere costante il ritmo luminoso. I rossi del tappeto sul tavolo e della tenda hanno lo steso timbro e bilanciano la composizione insieme alla parete scura sulla sinistra, che ha la funzione anche di evidenziare il variare delle luci ed ombre sul fondo grigio-verde, il tutto per esaltare la notevole presenza della nobildonna.  Tutto l’insieme, cioè, fa da elegante e severa cornice al bellissimo volto, che corrisponde esattamente in ogni particolare, sopraciglia, occhi, zigomi, naso, bocca e mento, alla Lucrezia di Palazzo Arese Borromeo.  Ma è soprattutto l’intensità dello sguardo che mi fa affermare con assoluta convinzione che ci troviamo di fronte ad un altro straordinario ritratto di Lucrezia Omodei Arese.  Inoltre le altrettanto identiche modalità stilistiche ci confermano anche la bellezza artistica di questi due capolavori di Carlo Francesco Nuvolone.

Dobbiamo tener conto di quanto nella ritrattistica, proprio per le esigenze di questo genere, i pittori si mantengono entro limiti precisi, dovendo soddisfare i desiderata dei committenti, evitando una eccessiva personalizzazione stilistica e mantenendosi coerenti con le modalità della loro epoca. Ma contemporaneamente dobbiamo anche pensare che per questi professionisti il tempo dedicato al lavoro è fondamentale, quindi il non variare continuamente le pose dei personaggi a cui si deve fare il ritratto, ma anzi fare ricorso alla medesima posa è tutto tempo risparmiato, che permette di dedicarsi ad altri dipinti.

In questi altri due ritratti di dame, a figura intera, di Carlo Francesco Nuvolone, riscontriamo quanto detto. La posa è appunto identica, per entrambe, al ritratto bolognese, quella con l’abito nero dall’ ampio guardinfante, tipicamente alla spagnola, e un fazzoletto bordato di pizzo nella mano sinistra, è nelle Collezioni Civiche del Castello Sforzesco di Milano, qui manca il tavolo e c’è una sedia, guarda caso uguale a quella del ritratto cesanese. Vengono meno le belle luminosità di Carlo Francesco, il busto è alquanto rigido, il che può far pensare ad un sicuro intervento della bottega. Ci sono accenni critici che il ritratto possa riferirsi ad una dama di Casa Arese, le probabilità sono parecchie e tenendo conto del periodo, anni quaranta, della giovinezza della donna, di una particolare fisionomia, il nome che mi sento di fare, senza troppi dubbi, è quello di Giulia Arese, della quale al momento non abbiamo ritratti sicuri.   Per l’altro ritratto “Giovane donna con cagnolino” del Museo di Palazzo Reale di Genova, la posa è la stessa, nella mano destra non il pomo della sedia, ma un libretto di preghiere e accanto un cagnolino bianco con un fiocchetto rosso sulle orecchie, che potrebbe, nel suo significato iconografico di fedeltà, dirci che siamo di fronte ad una giovane sposa. Qui è evidente una ben maggiore attenzione agli effetti luminosi, ma il fondo è piatto, senza panneggi, con un solo accenno di lieve luminosità. È solamente la posa che le accomuna.

A concludere questa breve trattazione voglio proporre un ulteriore confronto con un altro dipinto di autore sconosciuto della Collezione Borromeo all’Isola Madre che è particolarmente interessante e raffigura una dama anziana.

Si è sempre pensato per questo dipinto alla possibilità che potesse essere un ritratto di Lucrezia Omodei anziana.  Ora, alla luce di quanto detto finora, ritengo l’ipotesi probabile, così ho predisposto un’immagine-confronto che può visivamente confermare le analisi fisionomiche descritte precedentemente.

Le caratteristiche costantemente riscontrate le vediamo anche in quest’ultimo ritratto, ovviamente rimodellate dall’età avanzata. Fronte alta, sopracciglia appena arcuate, palpebre ben evidenti, occhi neri con sguardo sempre attento e sicuro, naso diritto e allungato con narice alta, fossetta sul labbro superiore sempre evidente, labbra ben disegnate e l’accentuazione della rotondità del mento: tutto corrisponde, tenendo conto che sono dipinti: il primo probabilmente di Carlo Francesco, i due successivi sicuramente di lui, il quarto di altro pittore.  Ma che siamo difronte a Donna Lucrezia Omodei Arese nelle varie fasi della sua vita è per me un dato di fatto concreto.

Così, ecco quanto l’arrivo inaspettato di una straordinaria opera d’Arte ci apre nuovi percorsi di approfondimento, scoperta e conoscenza oltre a darci, ovviamente, la gioia di poterla contemplare costantemente, pronti ad accogliere altri suggerimenti e suggestioni che, bontà sua, ci potrà  concedere.

Ecco perché, concludendo, mi è d’obbligo rinnovare un sincero grazie di cuore e di mente all’amante di Palazzo Arese Borromeo che, con il suo munifico gesto, ci permette di godere quotidianamente dell’incontro diretto con la figura di Bartolomeo Arese, che ci ha raccontato e tuttora ci racconta il suo pensiero nelle suggestive e ricche Sale di questo unico e straordinario Palazzo ed altrettanto identico ringraziamento all’Amministrazione Comunale di Cesano Maderno che riproponendo il necessario e doveroso primato della Cultura, insegnamento che ci viene costantemente dal “nostro” Bartolomeo, ci ha permesso questo rinnovato e splendido incontro con donna Lucrezia.

L’uomo è nato per l’Incontro, per comunicare, per stare insieme e scambiare idee, questo è quanto mi ha insegnato l’Arte e deve essere così, volutamente ho usato il “deve” e non il condizionale dovrebbe, proprio per i tempi attuali…poco entusiasmanti.

28 settembre 2018

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Palazzo Arese Borromeo – Gli esterni

di Corrado Mauri

Nel ripercorrere il Palazzo, so già (in quanto mi succede regolarmente e costantemente ogni volta che ho il piacere di frequentarlo) che il descriverlo non sarà il ripetere quanto già acquisito nel suo costante studio, ma riosservandolo anche semplicemente per spiegarlo ai visitatori, è come fosse una continua e rinnovata novità, cogliere quegli spunti nuovi che mi sorgeranno da uno sguardo  sempre attento e curioso, ed è più che probabile che qui nasceranno ulteriori e nuove proposte ed ipotesi di lettura. Dove c’è ricchezza di pensiero e di idee non è mai pausa.

Iniziamo a conoscere Palazzo Arese Borromeo dalla sua

ARCHITETTURA ESTERNA

Per dare la massima rilevanza e centralità al suo Palazzo, per Bartolomeo III è determinante la decisione di creare l’Asse Barocco, (viale Borromeo nella citazione della mappa topografica del tenente Brenna degli anni trenta dell’ottocento)  dando così una nuova impostazione urbanistica al borgo di Cesano Maderno.

Un lungo viale che dai boschi verso ovest, l’attuale Parco delle Groane, dove ritroviamo due pilastri, quali supporti di un cancello e identici a quelli che aprono piazza Esedra a segnare, appunto, l’inizio del viale stesso, che con andamento praticamente rettilineo raggiunge la Chiesa antica di S. Stefano Protomartire, il Palazzo, lo attraversa nel cortile, nella Sala Aurora e lungo tutto il Giardino giungendo poi, ad est, al cosiddetto Serraglio, recinto chiuso in cui si allevavano animali selvatici, utili quando si organizzavano battute di caccia per gli ospiti della famiglia, attualmente non più esistente[1].  Nell’impostare questa soluzione urbanistica (di oltre due chilometri e mezzo) viene non solo ricostruita l’antica Chiesa romanica di S. Stefano protomartire, ormai fatiscente, ma questa, viene addirittura girata di 90 gradi di modo che la facciata, rivolta prima al fiume Seveso, si affacciasse, ora, direttamente sul nuovo viale, rimarcandone un rapporto fondamentale con lo stesso epicentro dell’Asse: la piazza Esedra e il suo Palazzo.  Da qui, è ben evidente, la precisa volontà dell’Arese di creare una situazione logistica in cui la sua residenza diviene il fulcro del borgo di Cesano, ma anche con questo stabilire evidenti e puntuali rapporti reciproci.  Il Palazzo non si isola in se stesso, ma anzi è termine e motivo di incontro.

[1] Ronco di sotto”: le due estremità dell’asse barocco di Palazzo Arese Borromeo a CesanoMonografia dei “Quaderni di Palazzo Arese Borromeo”  n.8: Il “Serraglio degli animali” e il “ Maderno”. Associazione Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo, Cesano Maderno 2016, consultabile nel sito: www.vivereilpalazzo.it (vale anche per le note successive)

Prospiciente il Palazzo è la piazza Esedra per la sua forma semicircolare, detta anche del Teatro, dato che in essa si svolgevano spettacoli teatrali, aperti a tutto il borgo e non solo al padrone di casa ed ai suoi ospiti.  Il prof. Andrea Spiriti affermò che la piazza veniva anche usata, settimanalmente, come luogo di mercato del borgo.  Il rapporto formale con gli spazi urbani si concretizzava, dunque, anche in quelli sociali.

La piazza apre ed esalta la facciata del Palazzo e contribuisce, nel suo modo di essere, al senso di semplicità e mancanza di voluta monumentalità, per le sue sembianze più da chiusura di giardino che da piazza cittadina. Le ali laterali sono delimitate da pilastri a manicotti terminanti con obelisco, la semplice muratura intonacata in bianco, alterna lesene e nicchie caratterizzate da semplici manicotti costituiti da piccoli pezzi di ceppo, materiale che compone anche i pinnacoli a fiamma, terminali di ogni nicchia o lesena. Questi elementi con gli obelischi dei pilastri sono un puntuale elemento formale che si innesta nell’aria sottolineando, così, un rapporto, un legame e non una separazione, tanto più che l’obelisco è simbolo di unione tra cielo e terra.   Al centro dei due semicerchi abbiamo due fontane raffiguranti alla base animali marini dalle cui narici uscivano i getti d’acqua, sopra alcuni mascheroni, nella parte sommitale dei putti che sostengono un’aquila, che molto probabilmente mostrava le ali aperte (oggi è appena intuibile) senz’altro riferimento allo stemma Arese, al di là delle varie simbologie, e animale che incontreremo ripetutamente in Palazzo.

A dimostrare le scelte personali di Bartolomeo III è l’aspetto esteriore del Palazzo, di estrema semplicità. Intonaci bianchi, nessun elemento decorativo sia in rilievo che dipinto, intorno alle finestre nessuno stipite o rilievo, solamente del bugnato rustico intorno al portale e lo splendido balcone in ferro battuto del salone del piano nobile, per la cui finestra era previsto qualche elemento, simile al portale, ma poi non realizzato, onde evitare qualsiasi interferenza sulla linearità della facciata.

Tale austerità caratterizza tutta l’architettura esterna, dimostrando la scelta precisa, che si impone in modo perentorio. Una scelta che va contro lo stile architettonico del tempo: il Barocco, che per sua natura è ridondante, mosso ed articolato nelle sue componenti. Nulla, se non le dimensioni, arrivando a Palazzo dichiara una voluta importanza o ricerca di magnificenza, ma questa si manifesta poi, prepotentemente, nel ricchissimo apparato degli affreschi del suo interno.  Il gusto dei contrasti è giocato sapientemente.

L’elemento che caratterizza la facciata, semplicemente intonacata in bianco, è la presenza di uno zoccolo in mattoni, contenuto in cornice di pietra, che non svolge un ruolo funzionale, ma ha una valenza simbolica significativa. Una delle tematiche rilevanti per Bartolomeo III è il concetto della continuità della Storia, ciò che avviene è il naturale e logico sviluppo e continuazione di quanto si è realizzato nel passato. Ecco dunque che i mattoni suggeriscono la presenza di una precedente costruzione di difesa a castellana, appunto col mattone a vista e situata proprio nello stesso luogo. Nei recenti restauri delle Scuderie si è avuta conferma di strutture con probabili finalità difensive, nei pressi della antica torre, che viene inglobata nel Palazzo e sopraelevata. Ecco, dunque, che nel Palazzo sono contenuti, realmente, elementi della storia precedente e non solo suggeriti, non nasce “ex novo”, ma sviluppa, rielabora e continua il passato.

Gli elementi che si evidenziano sono il portale in bugnato rustico ed il bel balcone, questo sì tipicamente barocco nelle sue ampie linearità. A vari livelli è l’andamento dei tetti, che oltre a muovere la semplice schematicità della facciata, segna anche i vari momenti costruttivi. Anche le piccole finestre del mezzanino col loro andamento orizzontale e per la forma ovale determinano una variazione che permette di interrompere una visione eccessivamente semplice. A ciò contribuisce anche il lieve aggetto delle parti laterali, che verso nord, presentano uno zoccolo in conci di pietra, indicando l’epoca diversa di questa parte del Palazzo. Intorno al 1570 costituiva la “casa da nobile” di Francesco e Gerolamo Arese, zii di Giulio I padre di Bartolomeo III. Ulteriore fabbricato di epoca diversa che costituisce parte determinante del Palazzo.

La Torre, la cui base, come già indicato, è di epoca medioevale (ben visibile nel affresco che riproduce il Palazzo nella sua prima fase costruttiva nella Sala del Castello)  e non in asse con la facciata, si eleva notevolmente e la sua parte seicentesca, presenta in pianta un disegno ottagonale irregolare, diversamente da quella quadrata, più antica. Ben evidente nella visione dalla Cappella privata al piano nobile.La sommità è munita di una balaustra ed è, quindi, praticabile con la presenza di una campana sormontata da piccola cupola. Tra lo spazio che separa in altezza le piccole finestrelle, nei lati maggiori, si inseriscono i quattro quadranti dell’orologio, il suo meccanismo è datato 1690.

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SIMBOLISMO

SIMBOLISMO VISIONARIO

Khnopff, carezze l'Arte

Khnopff – Carezze o l’Arte

Domenica 17 aprile 2016 per la “Domus Picturae” è stato il momento di proporre agli interessati di recarsi a Milano, sempre sotto la guida del professor Corrado Mauri, per visitare la mostra “Il Simbolismo”. Arte in Europa dalla Belle Époque alla Grande Guerra” allestita nelle sale del piano nobile di Palazzo Reale.

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GINO SANDRI

LA DOMUS PICTURÆ E LO STRANO CASO DI GINO SANDRI

 

La Domus Picturæ, non ha mai trascurato, grazie al suo presidente ed insegnante, professor Corrado Mauri, di proporre visite a mostre e città d’arte per arricchire il retroterra culturale nel campo e per insegnare le varie tecniche usate dai grandi artisti onde esprimere in modo significativo il loro mondo e la temperie culturale in cui vissero.

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EL GRECO

Adorazione pastori -1570

2016  “ EL GRECO” A PALAZZO  CONFERENZA SU UN ARTISTA LA CUI SPIRITUALITÀ BARTOLOMEO III ARESE AVREBBE FORSE APPREZZATO

Martedì 29 marzo il professor Corrado Mauri della Domus Picturae, ha pensato di ricordare la figura e l’opera di un artista controverso e originale, per certi versi modernissimo, con una conferenza a Palazzo Arese Borromeo, in Sala Aurora. si tratta di Domenikos Theotokopulos, detto El Greco. Continua a leggere

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Alphons Mucha a Milano

A MILANO UNA MOSTRA DI GRANDE LIVELLO E RAFFINATEZZA

ALFONS MUCHA E LE ATMOSFERE ART NOUVEAU

Per il 14 marzo la Domus Picturae, che organizza gli Incontri con l’Arte, ha programmato una visita alla mostra di Alfons Mucha, allestita a Palazzo Reale di Milano, nella incomparabile cornice delle Sale neoclassiche. Il professor Mauri ha guidato il gruppo dei visitatori iscritti all’iniziativa.

Mucha è un artista ceco che vive a cavallo fra Ottocento e Novecento e diviene il maggior rappresentante dell’Art Nouveau, che in Italia prese il nome di Stile Floreale o Liberty. Continua a leggere

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HAYEZ: IL FASCINO DEL ROMANTICO

2016 – HAYEZ: IL FASCINO DEL ROMANTICO

I Vespri siciliani – seconda versione

Il 10 gennaio la Domus Picturae, per iniziativa del Professor Mauri, che cura gli Incontri con l’Arte, ha programmato una visita guidata a Milano, presso le Gallerie d’Italia in piazza della Scala, in occasione della mostra di Hayez, artista ottocentesco che ben rappresenta l’arte figurativa romantica la quale, come tutte le altre forme espressive del periodo, si incentra su alcuni temi caratteristici quali l’impegno politico e la passione civile del Risorgimento, quando l’Italia visse la sua lotta per la liberazione dalla dominazione straniera e per l’unificazione in uno stato nazionale. Continua a leggere

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2016, RICORDARE LA SHOAH E LE SUE CAUSE

Pur non rientrando nell’ambito specifico delle Arti figurative la Domus Picturae ha proposto, su indicazione della socia-allieva Marina Napoletano, questo tragico argomento nella piena coscienza che simili storie debbano essere bagaglio culturale indispensabile di ognuno di noi.  L’Olocausto è  stato soggetto per molti artisti, in particolare per quelli che hanno vissuto in prima persona questa sconvolgente esperienza.

2016, RICORDARE LA SHOAH E LE SUE CAUSE

Il 27 gennaio si celebra in tutti gli stati aderenti all’ONU la Giornata della Memoria, per ricordare i milioni di vittime ebree, ma non solo, che furono sterminate durante il periodo del cosiddetto “secolo breve” in cui in Europa prima trionfò e poi cadde il Nazismo. La data non è casuale, perché il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa fece il suo ingresso nel campo di Auschwitz, liberando i superstiti di quello che ormai è diventato il simbolo della barbarie nazista. Continua a leggere

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