LA SHOAH “La resistenza ebraica”

“Giornata della memoria”

27 gennaio 2021

MARINA NAPOLETANO

LA SHOAH

LA RESISTENZA EBRAICA

Edizione speciale per Conferenza

 Palazzo Arese Borromeo

Sala Aurora

Disegno di Marina Napoletano   “Le conseguenze dell’odio” 2020

LA SHOAH

LA RESISTENZA EBRAICA

Prima di entrare nel vivo dell’argomento credo utile dare una definizione di “resistenza”. Di solito con questa parola indichiamo una lotta armata contro chi opprime un popolo o un gruppo. Tuttavia non tutti gli storici sono d’accordo con questa definizione in quanto essa sarebbe riduttiva, infatti la “resistenza”, se appunto persegue il fine di liberarsi o attenuare il dominio dispotico di un gruppo o di un popolo su di un altro, può manifestarsi in varie forme: armata o non armata, spirituale o non spirituale, urbana o rurale ecc., forme che quasi sempre sconfinano nell’illegalità secondo le leggi imposte da chi comanda in quel momento.

Nello specifico della resistenza contro i regimi dittatoriali nazista e fascista, chi voleva sottrarre sé stesso e gli altri oppositori alla violenza distruttiva e disumana messa in atto contro di loro, doveva ricorrere a vari espedienti, per cui le varie azioni compiute spesso comprendevano diversi tipi di attività illegali. Ad esempio, i più accorti degli ebrei tedeschi, quando compresero che la situazione in Germania non avrebbe potuto che peggiorare, nonostante l’iniziale progetto di Hitler e dei suoi accoliti non fosse lo sterminio, ma la cacciata dalla Germania, decisero di emigrare, ma ciò comportava la necessità di un visto d’ingresso del paese ospite, di un passaporto, di denaro per il viaggio e per la sistemazione nella nuova patria, disponibilità che non erano alla portata di tutti. Quando poi non fu più possibile emigrare, necessitavano documenti falsi, l’aiuto di qualcuno che indicasse il modo in cui sfuggire agli aguzzini, un nascondiglio.

Questa situazione, che condusse milioni di ebrei a morire nei campi di sterminio, indusse alcuni intellettuali, come Hannah Arendt e Bruno Bettelheim a ritenere gli ebrei corresponsabili del loro destino e ad adottare l’espressione “che andavano come pecore al macello” coniata dal poeta Abba Kovner in un appello lanciato alla popolazione del ghetto di Vilnius.

In realtà si possono portare vari argomenti per smentire questo luogo comune, oltre ai fattori che abbiamo già citato:

  • in primo luogo, soprattutto nell’Europa occidentale, gli ebrei erano non solo integrati, ma in gran parte assimilati, e spesso, essendo totalmente laici, avevano quasi dimenticato la loro appartenenza a quel gruppo. Si sentivano perciò tedeschi, italiani, francesi ecc. In Italia, ad esempio, essi avevano partecipato attivamente al Risorgimento italiano, versato con generosità il loro sangue durante la prima guerra mondiale, partecipato alla vita politica ricoprendo cariche importanti nella vita amministrativa e politica dello stato. Basti pensare a personaggi come Sidney

Sonnino o Luigi Luzzatti che ricoprirono il ruolo di Presidenti del Consiglio. Tutto ciò li rese scettici circa la paventata persecuzione e a volte addirittura simpatizzanti dei vari nazionalismi o addirittura totalitarismi. In Italia c’erano anzi ebrei convintamente fascisti.

Un esempio significativo è quello riportato da Liliana Segre nel libro scritto con Enrico Mentana “La memoria rende liberi”

LETTURA DA “LA MEMORIA RENDE LIBERI”

pagg.30-31

 in secondo luogo il popolo ebraico era diffuso sul territorio, nelle città e nelle campagne e ovviamente non era compattato in organizzazioni di alcun tipo, quindi le milizie naziste e fasciste si trovarono a gestire un conflitto asimmetrico che vide da una parte organizzazioni militari o paramilitari addestrate e armate, dall’altra singole famiglie o persone impreparate e non organizzate.

in terzo luogo coloro a cui veniva imposto di cedere i beni, le attività o la casa non potevano rifiutare pena la morte, per cui si rassegnavano a spostarsi in nuove residenze, nei ghetti, pur di non soccombere e veder uccisi i propri cari. Senza contare che i carnefici, per tranquillizzare le vittime, ricorrevano a continui inganni: basti pensare che, ad esempio, accanto  alla rampa di accesso ai campi di sterminio facevano stazionare sempre camion e ambulanze della Croce Rossa per convincere i selezionati dei convogli appena arrivati e destinati direttamente alle camere a gas

senza nemmeno venire registrati (donne con bambini, anziani, malati, disabili) che sarebbero stati portati in un altro campo.

infine quando nel gennaio del 1942 a Wansee si decise per la soluzione finale, i rastrellamenti e le uccisioni si intensificarono, quasi che, in previsione di una quasi certa sconfitta, si volesse almeno vincere la guerra contro gli ebrei. Fu perciò quasi impossibile trovare scampo.

Nonostante queste pessime premesse la resistenza da parte degli ebrei ci fu e, come ho già detto, fu di vario tipo. Cominciamo parlando della “resistenza spirituale”.

Quando in Germania con le Leggi di Norimberga (1935) e in Italia con le Leggi razziali (1938) gli ebrei si videro privati della cittadinanza, della possibilità di andare a scuola, di lavorare come impiegati statali, di possedere attività commerciali e via discorrendo, la qualità della loro vita subì un drastico peggioramento al quale però essi reagirono cercando di vivere dignitosamente e non rinunciando alla cultura.

Infatti, furono create scuole ebraiche, spesso di ottima qualità perché vi confluirono docenti universitari cacciati dal loro posto e, perfino nei ghetti e nei campi di concentramento, non si rinunciò né alla istruzione, né ad attività culturali come spettacoli teatrali, concerti, giornali ecc. La cultura fu, per molti, un modo per non diventare gli “untermenshen” che i tedeschi credevano che fossero e, le loro opere, sopravvissute a molti loro autori, testimoniano quanto la creatività e l’arte possano, anche nell’orrore, aiutare l’uomo a non arrendersi e a non perdere la sua umanità.

Gli spettacoli a volte venivano allestiti anche in occasione di visite di autorità, soprattutto a Terezin, ghetto modello creato dai nazisti per ingannare gli enti sopranazionali come la Croce Rossa sul trattamento e sul destino dei prigionieri che anche da quella località, invece, finirono nei crematori di Auschwitz.

Leggiamo, citato da Maria Teresa Milano, nel testo “Terezin: la fortezza della resistenza non armata”, la testimonianza di J. Bor su un concerto preparato per la visita di Eichmann in cui il direttore d’orchestra decide di combattere il nemico impartendogli una lezione di vita.

LETTURA DA “TEREZIN: la fortezza della resistenza non armata”

pag.117

I ghetti erano governati dagli Judenràte o Consigli ebraici, istituiti in Europa orientale il 21 settembre 1939, tre settimane dopo l’inizio della guerra, da Reinhardt Heydrich. Essi erano composti da 24 ebrei scelti tra i rabbini e le personalità più importanti, che dovevano tenere i rapporti con i tedeschi, almeno formalmente, perché in realtà i nazisti pretendevano che i loro ordini fossero eseguiti alla lettera. Quale che fosse la loro posizione nei confronti dell’oppressore, essi dovevano comunque provvedere alle necessità della comunità fornendo almeno i servizi necessari alla sopravvivenza. Questo almeno all’inizio, perché successivamente fu loro chiesto di compilare le liste di coloro che dovevano essere inviati nei campi di sterminio. Anche essi, quindi, furono coinvolti nella possibilità di dare vita, seppur con pochissimi mezzi, alla resistenza non armata e lo fecero cercando appunto di rendere il meno possibile dure le condizioni di  vita e di mantenere una parvenza di normalità, di convincere sé stessi e gli altri che fornire forza lavoro ai tedeschi era un modo per dimostrare l’utilità degli ebrei e salvarne la vita. A volte, per riuscire nel loro intento, ricorsero anche alla corruzione. È il caso del ghetto di Lodz  e del suo “judenaeltester” Chaim Rumkowski che, non essendo stato possibile il trasferimento dell’intero ghetto nel Governatorato Centrale, anche a causa dell’opposizione del Governatore Generale Hans Frank, convinse gli occupanti che gli ebrei erano per l’economia tedesca una possibilità da non sottovalutare, in quanto avrebbero prodotto a prezzi bassissimi per gli ariani. Ciò fu considerato da molti come collaborazionismo, ma permise al ghetto di durare per quattro anni e quattro mesi, da fine aprile 1940 fino all’agosto 1944 e ciò fece dire a uno dei sopravvissuti che “Rumkowski quasi li salvò”, anche se poi furono comunque tutti portati ad Auschwitz e nemmeno Rumkowski si salvò. Questo caso controverso e quello di molti altri capi dei Consigli Ebraici fece sì che molti, fra cui Hannah Arendt, accusassero tutti di complicità nello sterminio, giudizio in parte fondato perché effettivamente molti capi furono collaborazionisti. Leggiamo il severo giudizio della filosofa riportato nel libro “La banalità del male”.

Ghetto di Lodz

LETTURA da “LA BANALITÀ DEL MALE”

Pagg. 125-126

La resistenza non armata consisteva anche nell’aiutare gli ebrei a sottrarsi alla persecuzione e in Italia ciò fu possibile anche grazie alla DELASEM, acronimo di Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei, nata il 1° dicembre 1939 su iniziativa di Dante Almansi  e Lelio Vittorio Valobra e autorizzata dal governo fascista per aiutare i correligionari stranieri ad emigrare o per assistere coloro che erano stati inviati nei campi di internamento, il più conosciuto dei quali fu quello di Ferramonti di Tarsia in provincia di Cosenza.

Durante la guerra la DELASEM raccolse più di 1.200.000 dollari, di cui circa 900.000 provenienti dall’estero, dapprima via Parigi, poi, quando la capitale francese fu occupata, attraverso la Svizzera.

L’organizzazione provvedeva a trovare rifugi sicuri, sostegno materiale e documenti falsi.

Con essa collaborarono anche non ebrei come alcuni settori della Chiesa cattolica, partigiani, funzionari di polizia, impiegati degli uffici statali, partigiani.

Villa Emma

Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e l’occupazione dell’Italia da parte dell’esercito tedesco, l’associazione divenne clandestina, ma non interruppe la sua attività.

Una delle operazioni più note organizzate dalla DELASEM in Italia fu quella di villa Emma a Nonantola presso Modena. La villa era appartenuta ad un ricco ebreo che però era stato costretto a venderla. La DELASEM la affittò e a più riprese vi ospitò bambini e ragazzi. I primi quaranta erano tedeschi e austriaci che giunsero nel 1942, dopo aver attraversato la penisola balcanica a tappe e dopo aver ottenuto il visto di ingresso in Italia dal Ministero degli Interni. Il secondo gruppo, formato da trentatré ragazzi serbo-croati arrivò nel 1943. La vita si svolse più o meno senza incidenti finché non cominciarono i rastrellamenti, allora i clandestini, di cui tutti sapevano, furono nascosti dagli abitanti del luogo o nel seminario. Tuttavia la situazione era comunque pericolosa, così si decise di portarli tutti in Svizzera dove arrivarono sani e salvi. Solo uno, Salomon Papo, che era stato ricoverato in sanatorio perché tubercolotico, fu catturato e deportato ad Auschwitz, dove morì.

Nell’azione di salvataggio dei civili ebbe un ruolo significativo anche la ditta Olivetti, dagli anni Trenta nelle mani di Adriano, una specie di Shindler, che si circondò di dirigenti in buona parte ebrei e contribuì a nascondere correligionari, inglesi fuggiaschi o paracadutati sulla penisola e sovvenzionò partigiani.

Passiamo ora a parlare della “resistenza armata”, sempre ad opera degli ebrei. Essa fu attuata nei ghetti, nei campi di concentramento e di sterminio, in seno alle formazioni partigiane delle nazioni occupate, all’interno dell’esercito britannico con la “brigata ebraica”, con formazioni autonome.

I ghetti interessati furono numerosi, fra cui quelli di Bialystok, Vilnius, Varsavia.

La rivolta più nota, oltre che la prima urbana nell’Europa occupata, è quella del ghetto di Varsavia, dove tra luglio e settembre 1942 le autorità tedesche deportarono o uccisero circa 300.000 ebrei destinandoli a Treblinka o ai lavori forzati. Ufficialmente 35.000 prigionieri rimasero nel ghetto, ma clandestinamente ce ne furono altri 20.000.

A seguito di questa operazione gli ebrei crearono l’Organizzazione Combattente Ebraica (ZOB) con 500 combattenti a cui si affiancò l’Unione Combattente Ebrea (ZZW), formata dai membri del Partito revisionista, a cui avevano aderito sionisti di destra, con 250 uomini. Le due formazioni non erano certo simili, ma decisero di unire le forze per opporsi alla distruzione del ghetto. Per avere maggiori possibilità di riuscita si contattò il movimento clandestino polacco (Esercito nazionale), da cui si ottennero, sia pure in quantità limitate, armi ed esplosivi.

Nel gennaio del 1943, mentre un gruppo da deportare convergeva verso il punto di raccolta, alcuni combattenti si intrufolarono nella fila e cominciarono a sparare contro le guardie, dando a molti la possibilità di fuggire.

I tedeschi fermarono le deportazioni e gli abitanti del ghetto cominciarono a costruire bunker e rifugi dove si nascosero in gran parte.

Quando le operazioni di sgombero ripresero, il 19 aprile 1943, Mordecai Anielewicz con i suoi uomini della ZOB ripresero i combattimenti, ma furono quasi tutti uccisi e il ghetto raso al suolo in tre giorni, anche se alcuni uomini continuarono a dare battaglia ancora per mesi.

Marek Edelman, vicecomandante degli insorti, nei suoi appunti ricorda come inizia la lotta, anche se in tutti c’è la coscienza che il confronto sia comunque impari.

LETTURA DA “IL GHETTO DI VARSAVIA LOTTA”

pagg. 88-90

Anche i campi di sterminio (Treblinka, Sobibór, Auschwitz) videro nascere al loro interno tentativi insurrezionali, nonostante la consapevolezza dei cospiratori che molto probabilmente tutti o quasi sarebbero andati incontro alla morte.

Ad Auschwitz la rivolta ordita dagli uomini dei “Sonderkommando” scoppiò il 7 ottobre 1944. Costoro erano ebrei selezionati tra i più giovani e robusti che dovevano accompagnare i destinati alla camera a gas, farli spogliare, farli entrare nella camera a gas e, una volta che erano morti, tagliare i capelli, estrarre i denti d’oro, raccogliere gli indumenti e, infine, infilare i corpi nei forni crematori per poi raccogliere le ceneri.

Il 23 settembre 1944 erano stati eliminati circa 200 uomini del Sonderkommando. Gli altri sapevano che presto sarebbe stato il loro turno, perché, in quanto testimoni pericolosi venivano periodicamente uccisi. Perciò con l’aiuto di quattro ebree polacche, che lavoravano nella fabbrica di munizioni Union, avevano preparato delle granate con l’esplosivo sottratto.

Il 7 ottobre a mezzogiorno era in atto una riunione degli uomini del crematorio IV, quando le SS, a conoscenza della cospirazione, cominciarono a circondare il posto. Il Sonderkommando però riuscì a distruggere i forni e le esplosioni spinsero all’azione anche gli uomini del Crematorio II, mentre quelli delle strutture III e V furono fermati.

Mentre infuriava la lotta 250 detenuti riuscirono a fuggire ma, rifugiatisi in un vicino granaio furono uccisi col fuoco.

Le ragazze che avevano procurato l’esplosivo furono impiccate.

Per quanto riguarda la resistenza partigiana e l’attività svolta in essa dagli ebrei, si deve parlare di modalità diverse distinguendo, seppur genericamente, tra Europa occidentale e Europa orientale. Infatti le due comunità avevano raggiunto un diverso grado di assimilazione, molto più consistente in occidente. Inoltre anche le politiche di discriminazione e persecuzione messe in atto contro di loro ad est cominciarono subito dopo l’inizio della guerra, ad ovest dal 1942. Per tali motivi in Europa occidentale gli ebrei entrarono a far parte delle formazioni partigiane che erano state create dai diversi partiti e movimenti politici, di solito preferirono le bande comuniste o azioniste (in Italia) e solo in alcuni casi, ad esempio in Francia, diedero vita a movimenti resistenziali specifici. Ad est, invece, le unità ebraiche furono molto spesso formate da fuggitivi dai campi di concentramento e di sterminio che si rifugiarono nelle fitte foreste locali, collaborando ma non unendosi alla resistenza nazionale. Questi resistenti spesso si introducevano di nascosto nei luoghi di detenzione e facevano uscire chi poteva sopportare la vita partigiana.

In Italia il contributo degli ebrei alla lotta armata, praticata soprattutto in Italia settentrionale e principalmente in Piemonte, fu molto significativo, tanto è vero che i combattenti furono circa 2.000, pari al 4 per cento della popolazione ebraica, percentuale superiore a quella dei non ebrei, e ricoprirono ruoli importanti all’interno della Resistenza. Fra i più noti ricordiamo Primo Levi, Elio Toaff, Vittorio Foa, appartenente a Giustizia e Libertà, Leo Valiani, azionista, Emilio Sereni, comunista, e Umberto Terracini che nel 1944 fu segretario della Giunta provvisoria della Repubblica dell’Ossola e nel 1947 presidente dell’Assemblea Costituente.

Enrico Loewenthal, che combatté in varie formazioni, ricorda come, dopo l’8 settembre 1943, alcuni torinesi decisero di opporsi all’occupazione nazista e di combatterla con la guerriglia:

LETTURA DA “MANI IN ALTO, BITTE”

Pagg. 67-68

Ad est, a partire dalla Polonia, attaccata il 1° settembre 1939 e in un primo tempo soggetta a esecuzioni sommarie che colpirono non solo gli ebrei, ma anche gli intellettuali, nonostante i dirigenti ebraici fossero contrari, per timore di ritorsioni, i giovani si organizzarono per dare vita alla resistenza armata. Essi collaborarono spesso con la resistenza russa o polacca, anche se i rapporti non sempre furono proficui, anzi a volte l’antisemitismo diffuso anche tra i partigiani fece sì che venissero osteggiati o addirittura uccisi.

Una particolare forma di resistenza si sviluppò in Bielorussia, ricoperta da foreste molto fitte e perciò difficili da attraversare da parte dei nazisti che tra l’altro non conoscevano i luoghi come la gente del posto. Perciò alcuni ebrei fondarono bande autonome che, oltre a combattere gli invasori, salvarono intere famiglie creando i cosiddetti campi familiari.

Particolarmente attiva fu la brigata partigiana dei fratelli Bielski: Asael, Tuvia, Zus e Arczyk, il più piccolo che aveva quattordici anni. Costoro riuscirono a salvare circa 1.200 ebrei e, contrariamente a quanto accadeva presso altre unità che accoglievano solo giovani, possibilmente armati, accettarono tutti, anche vecchi, donne e bambini, poiché ritenevano che fosse più importante salvare un ebreo che uccidere un tedesco.

Ecco come Nechama Tec ricostruisce l’arrivo di un gruppo presso il campo dei Bielski:

LETTURA DA “GLI EBREI CHE SFIDARONO HITLER”

Pagg. 1-2

Essi si spostavano continuamente per evitare di essere individuati dal nemico, ma ogni volta costruivano dei veri e propri campi con rifugi in parte sotterranei e in parte esterni per trascorrere la notte e cucine, magazzini, laboratori per servire la comunità, ma anche per rifornire i partigiani sovietici la cui protezione era importante per sopravvivere. L’organizzazione fu particolarmente complessa nell’ultimo campo costruito prima della fine della guerra nella foresta di Nalibocka, come appare evidente dalla cartina qui riportata e dalla descrizione di Nechama Tec:

LETTURA DA “GLI EBREI CHE SFIDARONO HITLER”

Pagg. 142-143

Per terminare, ricordiamo anche il contributo della Brigata Ebraica.

Già nel 1939, alla vigilia del conflitto mondiale, Chaim Weitzmann, leader del Movimento Sionista, aveva informato la Gran Bretagna che gli ebrei palestinesi avrebbero collaborato con gli inglesi contro i nazisti.

L’Inghilterra, che dal 1920 esercitava il protettorato sulla Palestina su mandato della Società delle Nazioni, non si mostrò entusiasta della proposta, sia perché temeva la reazione araba, sia perché sapeva del desiderio dei sionisti di fondare uno stato indipendente nel luogo da cui molti secoli prima era partita la diaspora a seguito della distruzione del tempio di Gerusalemme. Nonostante ciò su 550.000 ebrei residenti in Palestina, ben 30.000 uomini e donne si presentarono come volontari.

Nel 1941, diventando la guerra molto impegnativa, i britannici cominciarono a reclutare palestinesi, sia arabi che ebrei, che poi formarono il Palestine Regiment. Gli arabi non rimasero a lungo in esso, sia per gli attriti esistenti tra i due gruppi, sia perché nel frattempo il Gran Muftì di Gerusalemme aveva aderito alla politica hitleriana. Oltre a ciò nacquero unità ausiliarie, di 250 elementi ciascuna, il cui personale specializzato sarebbe stato usato in caso di necessità. Infatti, poiché provenivano dai kibuzim (fattorie agricole comunitarie) e dalla Haganà (organizzazione militare per la difesa degli ebrei in Palestina), aiutarono come combattenti, ma anche come soccorritori degli scampati alla shoah.

La vera e propria Brigata Ebraica si formò nel novembre del 1944 con il consenso del primo ministro inglese Winston Churchill e, sbarcata in Italia, vi combatté per circa sette settimane soprattutto lungo la linea gotica, per sbarrare la strada della pianura padana all’esercito tedesco.

Questi combattenti, dopo la nascita dello Stato di Israele nel 1948, furono preziosi per costituire l’esercito israeliano e per addestrare le nuove reclute.

Dell’appoggio del primo ministro inglese fanno fede le lettere che Weitzmann e Churchill si scambiarono sull’argomento:

LETTURA DA “LA BRIGATA EBRAICA IN ROMAGNA”

Pag.22

BIBLIOGRAFIA

AA.VV.: Storia della shoah

AA.VV.: La shoah dei bambini

Arendt Hannah: La banalità del male

Artom Emanuele: Diari di un partigiano ebreo

Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea (a cura di): Ebrei in Italia: deportazione, resistenza

Idem: Aspetti di una resistenza ebraica al nazismo. Comunicazioni visive dai campi di concentramento

Chiappano Alessandra: Voci della resistenza ebraica italiana

Edelman Marek: Il ghetto di Varsavia lotta

Formiggini Gina: Stella d’Italia, stella di David

Haffner Sebastian: Un tedesco contro Hitler

Loewenthal Enrico: Mani in alto, bitte

Mentana Enrico – Segre Liliana: La memoria rende liberi

Milano Maria Teresa: Terezín

Meir Caro Luciano – Rossi Romano: La brigata ebraica

Quaderni del Museo Ebraico di Bologna: La Brigata Ebraica in Romagna 1944 – 1946

Ringelblum Emmanuel: Sepoplti a Varsavia

Szac-Wajnkranc Nöemi – Weliczker Leon: I diari del ghetto di Varsavia

Tec Nechama: Gli ebrei che sfidarono Hitler

Venezia Shlomo: Sonderkommando Auschwitz

Disegno di Marina Napoletano   “Il cielo era vuoto…” 2020

Questa voce è stata pubblicata in shoah. Contrassegna il permalink.