PALAZZO ARESE BORROMEO (7

SALA DEI GIGANTI e SALA AURORA

Corrado Mauri

Si passa poi nella Sala dei Giganti, Sala appresso alla suddetta Galleria dove di presente è il Gioco del matto, questo era un gioco, fatto con le stecche, che si avvicinava all’attuale biliardo, infatti il relativo tavolo è presente oggi all’Isola Madre. Il medaglione seicentesco rappresenta il momento in cui le divinità olimpiche reagiscono all’assalto dei Giganti che accumulando macigni uno sull’altro, vi salgono tentando la conquista dell’Olimpo. Nel racconto delle Metamorfosi di Ovidio è lo stesso Giove che con i suoi lampi fa crollare la montagna di sassi che travolgono ed annientano i Giganti, ed uno straordinario esempio lo abbiamo a Palazzo Te a Mantova con gli affreschi di Giulio Romano.  Qui a Cesano abbiamo una variante, Bartolomeo sceglie per vincere i Giganti

Minerva, che è si una divinità guerriera, infatti è costantemente raffigurata con l’elmo, la lancia e lo scudo con la testa di medusa e così la ritroviamo in questo affresco, ma Minerva è anche la dea della Sapienza ed allora è lampante che le guerre si vincono sì con le armi, ma soprattutto con la sapienza, l’intelligenza. Ecco che il nostro Bartolomeo ribadisce quanto la sapienza, la conoscenza sono fondamentali per il raggiungimento di risultati positivi. Le sue scelte in tal senso si ripetono e sono puntuali. Altri particolari lo sottolineano: oltre a Minerva ed agli sconfitti giganti nell’affresco sono presenti Giove, protetto dalla lancia di Minerva ed ancora con la corona in testa, Diana che tiene in mano l’arco, Mercurio col caduceo ed Ercole, che invece di dar man forte a Minerva se ne sta seduto con la clava tra le gambe, ma nell’altro lato compare anche Marte con l’elmo in testa, ed anche lui non interviene, a ribadire che è più che sufficiente la sola Minerva per conquistare la vittoria. Ma se osserviamo bene notiamo che le divinità hanno espressioni preoccupate, non tranquille, in particolare Giove, solamente Minerva è serena, conscia appunto delle sue capacità e della sicura vittoria.  Nella preoccupazione di Giove e con il non intervento degli altri, possiamo leggere che, da sottile politico quale è, Bartolomeo manda un messaggio anche ai potenti: non sentirsi mai eccessivamente sicuri di se stessi, ma stare sempre e comunque in guardia, non si sa mai.

Purtroppo le condizioni dell’affresco sono alquanto deteriorate e probabilmente presentano qualche ridipintura successiva.  La mano di Giuseppe Nuvolone è comunque ben individuabile con la sua pennellata rapida ed immediata, nella composizione mossa ed articolata in cui le zone dei contendenti sono ben delineate e il gioco dei triangoli nei giganti sottolinea il senso di tentata ascesa.

Sempre elegante la decorazione settecentesca in cui notiamo cornucopie con fiori e piccoli monocromi azzurri con rovine.

Sala Aurora

Entriamo nel Salone in facciata alla porta ossia Sala grande de ritratti, oggi detta Sala Aurora,sempre in riferimento all’affresco centrale. È l’ambiente di maggior rappresentanza del piano terra, tant’è che comunica direttamente con il cortile ed il Giardino, permettendone un accesso diretto per un suo utilizzo variabile. A qualificarne l’importanza era, anche, la presenza alle pareti di otto dipinti con ritratti a figura intera dei sovrani e principi Asburgo della Casa d’Austria e altri regnanti ed a completamento, all’epoca di Bartolomeo III, nelle lunette erano presenti dodici dipinti ottagonali con ritratti di principi (tutti i dipinti sono attualmente all’Isola Madre).  Immediata è la sensazione di grande luminosità di questo splendido ambiente grazie alle quattro grandi finestre ed alle due porte finestra e ciò indica quanto sia significativo il rapporto interno esterno e viceversa.  Ecco che viene sottolineata la particolare importanza del continuo rapporto tra i componenti e gli ambienti del Palazzo, senza percorsi definiti a priori.

A sottolineare il rapporto interno esterno è la presenza sulle porte di quattro nicchie con busti di imperatori romani che, come abbiamo visto precedentemente, sono presenti nel portico antistante e nella facciata volta al giardino, ecco di nuovo il senso di continuità, di valori che indipendentemente da dove sono collocati continuano e mantengono i loro significati.

A caratterizzare l’ambiente è il grande affresco centrale, contenuto in una cornice in stucco, mossa e con varianti ad andamento ellittico, tipicamente barocca. 

Il soggetto è alquanto articolato e fa più riferimento a dei concetti che non ad uno o più episodi narrativi. Ritroviamo, sulla destra, la divinità Aurora, circondata da amorini, che spargendo dei fiori dissolve la notte e dà avvio alla giornata annunciando la luce del fratello Helios, il Sole, che sul carro guida i quattro cavalli. A sinistra un’altra divinità, Minerva, che tiene per l’ascella un uomo.   Un insieme complesso: Aurora e il carro del Sole, che nel sec. XVII è alquanto diffuso nelle dimore barocche,  qui assume delle valenze del tutto particolari che legano agli Arese la mitologia classica.  Infatti, su indicazioni del prof. A. Spiriti[1] nel personaggio biondo è da individuare il ritratto di Giulio II, figlio terzogenito e unico maschio di Bartolomeo III, per la corrispondenza con una incisione ritratto sulla sua laurea dottorale del 1664.

È dunque fresco di studi e uomo di cultura, tant’è che è Minerva, la dea della Sapienza che, sollevandolo anche fisicamente, ci dice che è la cultura che eleva l’uomo, lo fa crescere e nell’avvicinarlo al carro del Sole formula l’augurio di una carriera luminosa ed elevata. C’è un ulteriore particolare decisamente significativo, il giovane Giulio tiene nella mano destra una fiaccola che accosta alla ruota del carro del Sole infuocata, accendendola: è la fiamma della Cultura che acquisisce e che a sua volta distribuirà, quasi novello Prometeo.  Ma la fiaccola è anche attributo di Aurora che la tiene solitamente in mano per “accendere” il giorno, questi passaggi di attributi qualificano ulteriormente i significati e le simbologie che si vogliono comunicare. 

Aurora (l’abbiamo già incontrata nella Galleria al Giardino, mentre abbandonava il letto del marito Titone, quindi si riprende e continua la narrazione) con ampi gesti sparge i fiori da entrambe le mani, dando così inizio alla giornata con un gesto di donazione. Viene inquadrata dal sotto in su onde accentuarne il volo ed il suo atteggiamento è ripreso dal putto centrale sotto i cavalli, ma se osserviamo all’estrema destra abbiamo un suo compagno che, ancora immerso nelle ultime penombre della notte, ripete, anche lui, la posa di Aurora ma come se volesse anticipare nel tempo ciò che Aurora farà poco dopo.  Questo trascorrere del tempo viene sottolineato, in particolare, da come il pittore, in questo affresco Giovanni Stefano Doneda il Montalto, usa la luce. Non ho dubbi che questa sia una specifica richiesta e necessità del presidente Arese che sottolinea, costantemente, che il tempo passa, che le ore non vanno sprecate ma utilizzate al meglio, lo abbiamo già visto nella clessidra del Saggio nel Ninfeo. Vediamo come il Doneda abbia dosato la luminosità con una concezione naturalistica che tiene conto del tempo che trascorre, a maggior ragione in una Sala che è in stretto rapporto con la luminosità del giardino. Infatti, dal putto a destra in penombra, si passa ad Aurora con una luminosità diffusa con poche ombre che si va accentuando sempre di più, sino al centro dell’affresco con i cavalli, anche loro con una sensibile variazione di luce, ed il putto in piena luce sotto di loro sino a Minerva ed il giovane Arese le cui luci ed ombre sono intense, come dopo mezzogiorno.

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Il carro del Sole splende al centro ed è la luce che uniforma il cavallo e l’auriga Elios, il quale dalle origini si assimila, poi, alla figura di Apollo, che qualifica la presenza di Giulio II in quanto divinità della musica e della poesia e guida delle Muse (il Musagete).  Il carro, dorato e tempestato di gemme, è trainato da cavalli bianchi (simboli anche delle quattro stagioni). Nel medioevo essi erano di diverse colorazioni, è dalla fase rinascimentale che assumono questa uniforme tonalità, che qui a Cesano riflette meglio l’effetto luminoso. Precedentemente la diversità invece sottolineava meglio le singole specificità. A proposito, va puntualizzato che, tra i pittori che operano in Palazzo, Giovanni Stefano Doneda è quello che sa usare al meglio la luce, con una attenta sensibilità.

L’unione dei valori culturali e di quelli naturali è una costante che sovrintende a tutta la decorazione del Palazzo e che si riproporrà anche in seguito. Bartolomeo III, non solo per propria convinzione, ma dalla sua quotidiana esperienza e per la varietà dei suoi incarichi, aveva ben capito che i concetti, le tesi, i suggerimenti vanno continuamente ripetuti per ottenere dei risultati.

Le vele, i pennacchi e le lunette della Sala sono ricoperte dalla decorazione rococò settecentesca (vedi Sala Semele) che qui assume una notazione particolare nella scelta dei soggetti in monocromo che, data l’occasione per cui viene realizzata, un matrimonio, sviluppa il tema dell’Amore, proponendo vari episodi e personaggi della classicità.  L’autore delle decorazioni rivela una notevole eleganza e mestiere nel gioco lineare,  nella variazione delle simmetrie e nei passaggi chiaroscurali. Diverso è l’autore dei monocromi, in un primo tempo si è fatto il nome di Sebastiano Galeotti, successivamente A. Spiriti ha proposto Mattia Bortoloni, che opera a Monza nel Duomo, a Milano in Palazzo Clerici e Palazzo Dugnani, a Corbetta negli stessi anni della nostra datazione. Sul piano stilistico l’immediatezza di tocco, l’impostazione mossa e articolata delle figure confermano la tesi.

Qui apro una piccola parentesi personale, in quanto con Sala Aurora ho un rapporto particolarmente “intenso”.  Nei primi anni duemila con gli amici Giuseppe Grassi, assessore all’Urbanistica e Palazzi Storici nonché vicesindaco e Sandro Vitiello, socio-titolare del ristorante “Il Fauno” e presidente dell’Agenzia per il Turismo e la Cultura di Cesano Maderno, di cui ero vicepresidente, abbiamo scelto le poltroncine che arredano la Sala, che doveva diventare uno dei punti d’incontro più importanti per la Cultura cesanese e di fatto lo è ancora oggi. Vi erano proposte di colori rosso o blu, ma ci imponemmo per quel tono di verde delicato e freddo che, perfettamente, si intonava con gli affreschi e non predominava.  L’altro significativo fatto è che in Sala Aurora, nei ventitré anni che mi vedono ormai frequentare e studiare questo straordinario Palazzo, ormai credo di aver raggiunto, se non superato, il centinaio di Conferenze di Storia dell’Arte con enorme soddisfazione ma, soprattutto, grande gioia.


[1] A. Spiriti, La “sala a loggia” e l’ala Sud-Est: la gloria di Giulio II Arese, in M. L. Gatti Perer  a cura di, “Il Palazzo Arese Borromeo a Cesano Maderno”, Milano 1999, pag. 54-55