PALAZZO ARESE BORROMEO ( 33

STANZA AD ARCHITETTURA e conchiglie

Corrado Mauri

Nell’inventario del 1762 questo locale viene detto Altra stanza seguente con camino e dipinta ad Architettura a ma(cchia), ma per la significativa presenza di varie tipologie di conchiglie nell’apparato quadraturistico, preferisco definirla Stanza ad Architettura e conchiglie. Rispetto alla Stanza precedente la variante è proprio costituita dalle diverse presenze nelle quadrature architettoniche di particolari elementi decorativi che si riferiscono all’ambito marino, e dalla presenza di pilastri quadrangolari invece di colonne, in merito ai paesaggi rimaniamo nelle stesse tipologie precedenti.

La stanza è lievemente più stretta rispetto a quella precedente delle colonne, tant’è che non è più presente la suddivisione centrale, ma abbiamo solamente i pilastri agli angoli che reggono la trabeazione riproponendo la loggia come ambiente e col risultato di un paesaggio praticamente continuo, anche nelle stesse sovrapporte, negli stretti spazi degli angoli e tra porte e pilastri. Tre pareti hanno una porta ed una la finestra. La parete nord aveva un camino, chiuso probabilmente nel secolo scorso, con una muratura e con al centro un tubo da stufa, la porta presenta la parte alta con due aperture sul cielo e sul bordo una varia vegetazione spontanea, sul fronte una specie di stemma creato da una libera composizione di conchiglie ed un paio di uccelli. La struttura delle tre sovrapporte è identica, cambiano gli uccelli che vi sono posati: una cincia o zigolo col ciuffo  e più sotto un passero, un gufo ed un pappagallo.

Nello sguincio della finestra è riprodotta al centro una stella marina ed ai lati simmetricamente due valve convesse e una columella, conchiglia dei gasteropodi a cono allungato a spirale. I pilastri di marmo grigio macchiato presentano, in basso ed in alto, al centro la valva di conchiglia concava, invece decisamente particolare è il capitello dove ritroviamo in una sequenza di forme ovoidali con la stessa colatura grigia che abbiamo visto nella Stanza ad Architettura e paesi nel timpano della piazza con il padiglione e la statua di Minerva. Nella trabeazione ritroviamo invece una alternanza di valve con columelle di diverse tipologie, ma per ogni lato troviamo una conchiglia convessa, ma più di valenza decorativa classica che naturalistica, con due chele di aragosta, una vera e propria rarità, che costituisce anche una nota accesa di colore nel suo rosso vermiglio, in alternanza un ramo di corallo al posto delle chele. Inoltre sono inseriti dei ciuffi di vegetazione con al centro un fiorellino. Anche nella cassonettatura sottostante si alternano composizioni di valve di conchiglie, disposte concave o convesse, con columelle diverse.

Leggere una particolare o specifica simbologia nella presenza di soggetti marini nelle quadrature in questo caso è difficile. La conchiglia in sé, invece, veicola due simbologie importanti, una classica: la conchiglia della nascita di Venere, divinità dell’Amore, intesa come perla, cioè prodotto naturale e prezioso della conchiglia, pensiamo al relativo dipinto del Botticelli. L’altra, della religione cattolica, è simbolo mariano: Maria essa stessa conchiglia racchiuse nel suo grembo Gesù, inoltre nel medioevo si credeva che la conchiglia venisse fecondata verginalmente da gocce di rugiada, qui possiamo riferirci alla Pala Montefeltro di Piero della Francesca con la splendida conchiglia con l’uovo nell’abside.

Ma molto più facilmente, si tratta di una variante decorativa, senz’altro originale, che va però a sottolineare l’aspetto naturalistico, che in Palazzo non viene mai sottovalutato, anzi pensiamo alle quattro boscarecce e alla serie dei vari paesaggi che man mano abbiamo incontrato. Tra l’altro un naturalismo che in questa Stanza ha un’altra presenza significativa, unica e particolare. Nel soffitto ligneo non troviamo le solite rosette di tutte le altre Sale, ma delle pianticelle a cui si alternano degli uccelli in volo, a riconfermare l’attenzione alla natura. 

Ed osserviamo, allora, i quattro paesaggi, nei quali è, anche qui, dominante il cielo. Alla parete nord, un grande fiume che sulla sponda ha, al centro della scena, una grande casa rurale a tre piani ed un arco laterale sotto cui passa la strada che corre al lato della casa, alla quale è addossato un rustico, più in basso c’è un approdo per le barche con alcune figure. Proseguendo sulla strada si incontra, isolata, una fontana in una nicchia, che sotto l’arco ha un mascherone da cui sgorga l’acqua, con due personaggi di cui uno ha raccolto dell’acqua e si sta dissetando. Negli alberi del primo piano, abbiamo, anche qui, un tronco spezzato che riconosciamo quale firma del Ghisolfi, come del resto anche nelle piante sulla nicchia o dei sovrapporta con quei lunghi rami e le foglie in orizzontale sovrapposte. Sulla riva opposta del fiume o lago, in lontananza, un grande palazzo con terrazza, un porticato laterale e un viale con cipressi. La parete est ha una impostazione più verticale, infatti si fronteggiano due dirupi, da uno una cascata a balze si allarga poi, tramite un paio di salti con una serie di grandi pietre, poste in sequenza ravvicinata, che attenuano la rapidità dell’acqua, in uno slargo più tranquillo. Un precario ponticello conduce ad una rapida salita dove, quasi in cima ci sono delle cappelle. In cima all’altro dirupo una improbabile rocca, vista la difficoltà di accedervi,

ma è proprio qui che ne sta il fascino. Su delle palafitte ci sono due costruzioni di legno, o meglio mulini a più piani con due grandi ruote, che sono un’altra costante del Ghisolfi. Nella parete sud è raffigurato un ampio paesaggio dove, al di là di due alberi di primo piano, è in evidenza su un terrapieno circolare un mulino a vento cosiddetto a palo, con quattro grandi pale. Onde permettere alle pale di girare liberamente il mulino stesso è sopraelevato su un palo centrale, sostenuto da altri quattro inclinati verso l’alto ed al centro, questo per permettere al mulino stesso di ruotare sul proprio asse centrale e poter, così, sfruttare al meglio le diverse direzioni dei venti, infatti è ben visibile sulla cuspide del tetto un gallo girevole. La scala esterna per accedere ai locali è ovviamente mobile, un uomo sta scendendo con un grosso sacco sulle spalle per deporlo su altri accatastati sotto, con l’asinello che attende di essere caricato.  Al di là di un lago sulla sponda si stende una cittadina con chiese e campanili e un probabile castello. Al lato opposto dietro l’ennesimo tronco spezzato del primo piano, c’è una grande chiesa romanica con un alto campanile con monofore su ogni lato ed un battistero accanto. Il quarto paesaggio, a lato della finestra, è caratterizzato da uno strano ponte, in controluce, a cui si accede da una ripida scalinata non visibile e su cui vi sono due mucche e due pecore e da un fiume, immerso in forte luminosità, dove sta attraccando una barca, anche perché non si può proseguire essendoci, immediatamente dopo il ponte, una rapida con grossi massi. A sinistra un insieme di edifici religiosi, alquanto articolati. Una piccola cappella o sacello davanti, appena discosta una chiesa più grande che si direbbe a pianta centrale con un portale inserito in un arco e nella lunetta un oculo, il tutto sembrerebbe riproposto a fianco, da qui l’idea della pianta centrale. Accanto un campanile a pianta esagonale a quattro piani con due monofore affiancate per lato e piano, la stranezza è una specie di costruzione alta e stretta addossata al campanile che si vede dietro alla cappella, forse un tozzo campanile di quest’ultima? Da qui vediamo come il Ghisolfi è l’innegabile e costante inventore di queste fantasie paesaggistiche, legate comunque a diverse realtà, ma accostate in piena libertà. L’esempio evidente è nel ponte che abbiamo visto, per il quale ho proposto una scalinata per salirci, ma se, come potrebbe anche far pensare, sembra in parte crollato, avrebbe dovuto esserci una strada sopraelevata, vista l’altezza e allora, dove sarebbe andata a finire nel paesaggio circostante? È questa specifica modalità di rielaborare questi paesaggi che li rende intriganti e vanno a stimolare la fantasia o la curiosità di chi li osserva, attivando una attenzione altrimenti assente.         

Che del resto è la stessa modalità che adotta il Villa nelle sue quadrature, al quale non ho nessuna difficoltà ad assegnare la paternità, per la identica tecnica pittorica ed inventiva, che abbiamo ormai ben imparato a riconoscere. Una accoppiata vincente, che certamente avrà meritato l’approvazione del conte Arese, ben lieto di proporre questi stimoli alla fantasia dei suoi ospiti, alleggerendo i frequenti momenti di comunicazione culturale.