PALAZZO ARESE BORROMEO ( 28

 LOGGIA

Corrado Mauri

Sulla Loggia ho già riferito quando ho descritto il Cortile. Riassumo brevemente: la Loggia con tutta l’ala est viene aggiunta intorno al 1658 onde dare continuità ai percorsi in sequenza delle Sale. Il suo aspetto, a tre doppie campate con colonne doriche, non è tanto barocco, quanto rinascimentale, tant’è che viene usata la “sezione aurea” quale elemento base nei rapporti proporzionali, che danno il diffuso senso di armonia.

È l’unica Loggia in Lombardia che è collocata al Piano Nobile, su probabile suggerimento dell’arch. Francesco Castelli che, avendo lavorato a Genova dove le Logge sono al primo piano (Palazzo Tursi, Palazzo Bianco, Palazzo Rosso), ne ha preso spunto. Questa particolare soluzione permette non solo di dare respiro alleggerendo la compattezza architettonica, ma, essendo sopraelevata e aprendosi sul cielo, consente di chiudere, con le sue arcate, il cielo stesso all’interno del Palazzo; è una modalità formale per stabilire un importante rapporto con l’ambiente circostante. Questo è ulteriormente sottolineato dall’innesto del Palazzo sull’Asse viario barocco, divenendone causa ed epicentro e confermando, così, il significativo rapporto di interno-esterno, che abbiamo ripetutamente sottolineato. Questa sensazione la si vive intensamente quando, compiuto il percorso delle Sale ed un po’ frastornati dalla intensa ricchezza dei valori e significati culturali che via via abbiamo assorbito, aperta la porta della Loggia vi entriamo ed il notevole ed improvviso senso di spazio che ci accoglie, ci sorprende e ci lascia stupiti. Quando si osserva la Loggia dal cortile non ci si immagina assolutamente, la sua straordinaria spazialità ed apertura, proprio perché non è spazio barocco, ma è libero, ampio, vive dell’aria che lo circonda.   

La Loggia è impostata su un doppio livello, più basso verso il cortile; cinque gradini centrali conducono alla parte sopraelevata e che si affaccia poi sul Giardino. Ad entrambi i lati dei gradini stanno due balaustre, su pulvini le due esili colonne e le lesene a muro sostengono le doppie campate. Le due pareti sono semplicemente intonacate in bianco e presentano ognuna tre porte. Nella parte bassa le due porte sono poste frontalmente e conducono rispettivamente agli ambienti a nord o a sud (che sono quelli da cui siamo giunti dal nostro percorso di visita). Sono caratterizzate da un semplice rilievo in arenaria quale cornice e da elementi decorativi, però solamente dipinti, ed hanno ai lati due ovali incorniciati da arenaria, che fungevano, probabilmente, da piccole finestrelle. Identiche, nella parte sopraelevata, le porte al lato estremo verso il Giardino, mentre le due centrali hanno solamente la cornice in arenaria, queste quattro porte sono attualmente murate. Nelle volte le vele sono semplicemente intonacate in un lieve tono grigio e ogni campata ha al centro un medaglione affrescato. Le scelte formali, come il dipingere invece di creare elementi in rilievo (come abbiamo notato nei pilastri dipinti a muro dei portici del cortile) ci riconfermano la puntuale volontà di mantenere la maggior semplicità possibile, non eccedere nelle presenze decorative all’esterno, all’opposto, quindi, delle modalità barocche. Questa impostazione contribuisce alla sensazione di ampia e luminosa spazialità.

Vediamo ora un particolare significativo per la quotidianità dell’epoca: alla base delle colonne sulla balaustra al cortile riscontriamo delle scanalature in cui, con buona probabilità, venivano inseriti dei pannelli lignei o incannicciati per proteggere dalle intemperie e dal vento il passaggio da una parte all’altra della Loggia. Infatti, a destra era l’appartamento di Bartolomeo, a sinistra l’appartamento di Donna Lucrezia e delle altre donne della famiglia, infatti nell’inventario del 1697 sono citate la Camera della fu signora Contessa Lucrezia Homodea Arese e Camera della signora Contessa Giulia Arese Borromea, la protezione consentiva una più comoda e sicura comunicazione tra i due coniugi.  

Estremamente importanti sono i sovrapporta dipinti ed i relativi busti, anche se ci sono giunti in condizioni molto precarie, tant’è che i due personaggi verso il Giardino sono irriconoscibili. Fortunatamente gli altri due sono ben individuabili, altri due imperatori: Ottaviano Augusto, il più significativo tra gli imperatori romani, e Carlo V d’Asburgo, fondatore dell’impero moderno. I due si fronteggiano ed il colloquio tra di loro continua da tempo, nel mettere a confronto le proprie esperienze e le diverse epoche. Ecco la costante creazione di un altro rapporto.

Pochi i dubbi nell’identificazione dell’Imperatore Carlo V, che presenta le caratteristiche fondamentali degli Asburgo, nella accentuazione del naso, ma in particolare nel mento prognato, come risulta dal ritratto a cavallo del Tiziano. È coronato d’alloro, ha un mantello all’antica sopra la corazza, ma porta una camicia con collo ricamato e chiusa da un gioiello. Il suo sguardo è frontale, rivolto all’altro Imperatore Ottaviano Augusto che ricambia lo sguardo. Anche Augusto è sufficientemente riconoscibile dato che la fisionomia corrisponde alla sua ritrattistica consolidata. Questi porta la corazza con manto sovrapposto ed è coronato d’alloro, come lo sono la maggior parte degli imperatori scolpiti del portico sottostante, riscontriamo di nuovo una corrispondenza di elementi tra zone diverse del Palazzo, che ne riconfermano la voluta unitarietà.

 Anche gli altri due sono sempre provvisti del consueto alloro, a questo punto è alquanto probabile che anche loro possano essere degli imperatori, ma non individuabili, lasciandoci solamente supporre che esiste un sicuro collegamento con i “colleghi”.

Il busto di Carlo V poggia su un supporto che presenta un mascherone con due volute e la modalità pittorica mi riporta, senza dubbio, alla mano del Villa: pennellata piena, in specie nei bianchi, scioltezza e sicurezza di tocco, che però non riscontro nei busti, da qui spontaneo il confronto con i due busti della Galleria delle Arti Liberali, il Cesare e l’Aristotele, che mi conferma la mano diversa, che è quella del Busca, senza dubbi.

Dobbiamo ora analizzare i sei medaglioni al centro delle volte, che nelle campate centrali sono ottagonali irregolari, mentre nelle laterali sono ovali e con le figure rivolte verso il Cortile o il Giardino a seconda del rispettivo collocamento. Sono raffigurati una serie di putti, sempre alati, che compiono diverse azioni. Nei due ottagoni abbiamo un putto che a cavalcioni di un’aquila solleva una corona, ormai sempre marchionale, nell’altro, diversamente da quanto scrive A. Spiriti, i putti non stanno litigando pur nell’apparente concitazione, ma hanno tutti e tre una posizione particolare, sono inarcati sulla schiena, con le pancine rivolte al centro e legati tra di loro da un grosso nastro bianco. Quello in alto reca nella mano sinistra un ramoscello, molto probabilmente di ulivo, nella

destra sembra tenere un serpente, con valenza positiva quale energia rinnovatrice (come abbiamo già analizzato nella serie dei vasi della Fenice), a fianco il secondo putto tiene nella sinistra un pugnale e nella destra, purtroppo non è riconoscibile alcun tipo di oggetto. L’ultimo tiene due trombe che sta suonando in senso celebrativo, ricordandoci la figura della Fama nell’affresco della Chiesa nel Salone dei Fasti Romani.   Negli ovali del lato Cortile ritorna il riferimento alla morte di Giulio II. Nel primo ovale, sopra la porta da cui accediamo alla Loggia, è presente uno stemma coronato che nella parte bassa dello scudo ha lo stemma Arese da cui il putto ha staccato un’ala. Lo stemma distrutto segna la fine degli Arese che, con la morte di Giulio II, si estinguono. Infatti, nell’altro ovale le ali Arese sono separate e tenute, una per mano, dal fanciullo, lo stemma non c’è più.

Negli altri due ovali un putto regge un cartiglio col motto Arese “Per lealtà mantener”, l’altro regge nelle mani, avvolto in un panno bianco, un qualche cosa che, ormai, non è più riconoscibile.  Nell’insieme, quindi, sulla Loggia abbiamo una celebrazione araldica della famiglia Arese, pur nel rimarcare la fine degli stessi. In riferimento al pittore si fa il nome di Federico Bianchi, con un riscontro nella modellazione attenta alla resa volumetrica e con la sua costante linea di contorno, che delimita attentamente le forme anatomiche, nonché le ricorrenti fisionomie dei putti.

Il costante rapporto con la natura lo abbiamo, poi, rinnovato, affacciandoci alla balconata verso il Giardino, la cui stessa impostazione rivela lo stretto legame col Palazzo.