PALAZZO ARESE BORROMEO ( 26

SALA DEI MOTTI

Corrado Mauri

Nella parete est della Cappella, a lato dell’affresco con Abramo, si apre, in una complessa “macchina” decorativa, una porta, che conduce all’ampia Sala dei Motti, citata nei primi inventari come Sala dei Motti dipinta con erudizioni. Molto probabilmente era la Biblioteca, a suggerirlo due elementi determinanti: sulle pareti ritroviamo solamente delle ampie specchiature con sobri elementi decorativi e nessun soggetto narrativo, adatte appunto all’esposizione di librerie, al contrario di tutte le altre sale del piano nobile, e sulle due pareti corte sono riportati, al loro centro ed in dimensione rilevante, dei testi poetici. Solamente nella parte alta delle pareti, vi sono una serie di emblemi con un cartiglio che riprende di volta in volta ogni singola riga del testo della parete verso la Cappella.

Il conte Renato III Borromeo Arese, dal 1744 al 1778 esegue una serie di aggiornamenti nel Palazzo e nel Giardino, che vedremo anche più avanti, purtroppo riordina “alla moderna” questa zona, e come ha fatto con la Boscareccia con S. Eustachio, scialba tutta questa Sala, ma addirittura inserisce un tramezzo e la suddivide in due stanze, infatti nell’inventario 1762 sono dette Stanza con lettino giallo e Stanza del lettino celeste. Ma, peggio ancora, abbassa il soffitto distruggendo proprio la serie figurata dei motti. Nei restauri dei primi anni duemila si è recuperato lo spazio originario e buona parte delle decorazioni, nelle immagini vediamo la parete ovest appena tolta la controsoffittatura, rimane ancora la cornice, e si evidenzia la parte alta degli affreschi, sopra il soffitto settecentesco, con la pittura originaria seicentesca. Poi, vediamo la parete dopo l’eliminazione della scialbatura,

e poi a fine restauri, dove sono state ricostruite con un semplice disegno lineare le parti mancanti per una maggior comprensione dell’insieme. Vediamo poi, ciò che rimane di un emblema, di cui è scomparsa tutta la parte centrale e rimane in alto una conchiglia con mascherone, i consueti festoni e volute naturalistiche. È evidente il deperimento della parte bassa dell’affresco, mentre in alto, è ancora ben leggibile la pittura quadraturistica del Villa.

Qui riporto i due tesi poetici, che hanno una netta prevalenza rispetto alle immagini, entrambi esprimono una tensione di carattere amoroso sacro o profano che sia. L’ipotesi più probabile è che si possa far riferimento a testi di Cesare Arese (1574 – 1644), zio di Bartolomeo III, che muta il nome in Paolo quando si professò frate teatino a Milano nel 1589 ed è ordinato sacerdote nel 1598, a Napoli dove insegnava Filosofia e Teologia. Nel 1620 viene eletto Vescovo di Tortona. Pubblica vari libri tra cui De generatione et corruptione disputationes, L’Arte di predicare bene dalla sua intensa attività di insegnamento, mentre nelle Imprese sacre, in sette volumi da prova della sua grande erudizione nell’ambito religioso e in parte scientifico, una particolarità che può riguardare la nostra Sala è nel suo puntualizzare che ogni “impresa” ha una sua allegoria (il sole rappresenta Dio) ed un suo motto. 

Nella Parete ovest:

“E DI GELO E D’ARDOR STRANO PORTENTO

AHI, CHE LA MORTE HO NEL MIO SEN NO(DR)ITA

MORO, MA NEL MORIR TROVO LA VITA,

ARDO E PERCHÉ TROPP’ARSI, ORMAI SON SPENTO,

BENCHÉ DEBBA MORIRE, IO MI CONTENTO,

NE LA PRIGION DA ME STESSO ORDITA

CERCO MISERO INVAN, NÉ TROVO USCITA,

PRESO AL’HOR PIÙ, QUANDO FUGGIR PIÙ TENTO,

SEMPRE MI VOLGO, OVE CHI PUÒ MI SFORZA,

SEMPRE VO DIETRO, A CHI MI STA LONTANO,

CHI MI PERCOTE PIÙ, PIÙ MI RINFORZA.

QUANDO DOVREI POGGIARE, IO GIACCIO AL PIANO,

TENTO SALIR, MA RICADER MI È FORZA,

VANO È ‘L DESIRE, E LO SPERAR PIÙ VANO” 

Nella parete est:

“QUAL ETNA INFOCATO, E L…O ALGENTE,

QUAL, NEL SUO PARTO, VIPERA INFELICE,

QUAL NEL RO(GO) VITALE, ARSA FENICE,

QUAL, VICINO AL SUO FIN, TORCHIO LANGUENTE,

QUAL FARFALLETTA, INTORNO A LUME ARDENTE,

QUAL, NEL CARCERE SUO, CHIUSO, BOMBICE,

QUAL AUGEL CUI DI GABB(IA)..NON LICE,

QUAL, DA VISCHIO TEN….ENIE.”…

Nella “Sala delle lettere”, come la definisce il prof. Spiriti, gli emblemi sono quattordici e riprendono puntualmente le quattordici righe del testo della parete ovest, tre nelle pareti corte e quattro in quelle più lunghe. Inizia con la prima riga, nell’emblema esattamente al di sopra del testo e prosegue in senso orario, terminando, con l’ultima riga, accanto al primo emblema. Questa parete è impostata

con una precisa simmetria, che non corrisponde all’inserimento del camino, che è a metà della parte di parete esclusa la porta. Qui, abbiamo alcuni elementi che confermano il rapporto con le altre Sale, e mantengono, così, il senso di continuità. Al di là dell’apparato dell’emblema, il testo è racchiuso in una cornice lineare semplice sagomata in alto e in basso, dove abbiamo in una tonalità verde, una corona, ormai sempre marchionale, dalla quale sporgono dei rami di olivo, le cui simbologie sono numerose: vittoria, pace, riconciliazione, ma in questo contesto va evidenziato il suo legame con Atena e simbolo di forza intellettuale e di conoscenza. Ai lati due vasi, di cui si può leggere il solo disegno e si riconoscono quali puntuali compagni di quelli del ciclo della Fenice e sempre con l’accentuazione della circolarità in basso, tipica della visione prospettica del Villa, che riconosciamo puntualmente, anche nel semplice appoggiarsi alla parete della parte superiore della porta e quindi senza alcuna alterazione o collegamento col disegno della specchiatura della parete.

Nel sovrapporta troviamo incorniciato da una specie di piccola nicchia un volto femminile con una fascia alla fronte e una conchiglia identica a quelle dei mascheroni degli emblemi, un’espressione fredda ed assente, all’altezza delle orecchie parte una fascia lunga che si annoda in un angolo da cui si stacca l’ultima parte del nastro che assume una andamento curvilineo come se improvvisamente acquisisse una vitalità con la parte finale che diventa come una bocca aperta e digrignante, a sinistra la stessa ombra diventa una serpe, ed allora mi è inevitabile pensare alla seconda riga del secondo testo “Qual nel suo parto, vipera infelice”.

L’altra porta che conduce all’anticamera alla moderna l’abbiamo già analizzata a proposito del ciclo della Fenice ed è in riferimento al terzo rigo “Qual nel ro(go) vitale, arsa fenice”.

L’uccello è al centro del sovrapporta con le fiamme sotto e le ali aperte, anche qui la porta si sovrappone tranquillamente alla specchiatura della parete. Possiamo osservare la parte finale dell’emblema che è accompagnato dagli immancabili nastri, qui dal colore verde. Alle porte e finestre si alternano specchiature a imitazione del marmo, schematiche o con disegni decorativi articolati ed eleganti. Come consuetudine varie le espressioni dei Mascheroni sopra gli emblemi

Nella parte alta dei vani finestra, lievemente curvi, la decorazione pittorica è settecentesca ed eseguita dopo la suddivisione in due stanze. Altrettanto sotto la finestra, durante i restauri in due finestre si è recuperata la pittura seicentesca, nelle altre solo un piccolo tassello seicentesco, lasciando la decorazione settecentesca che riprende il disegno, molto semplificato e linearistico, della parte sottostante gli emblemi, come si evidenzia nelle immagini.  

Sempre nel settecento il conte Renato III, quando decide di eliminare lo Scalone di sasso e sostituirlo con l’attuale piccola scala, apre anche una porta sulla parete est della Sala dei Motti, accanto al testo poetico.  

Mi piace poter pensare che, in questa Sala con erudizioni e Biblioteca, Bartolomeo e Giulio, padre e figlio, abbiano passato momenti di incontro dibattendo di loro testi o di cultura in genere ed abbiano condiviso il piacere della conoscenza , che è la sostanziale ragione di questo Palazzo, ed augurandosi la buona giornata il mattino o la buona notte la sera.