PALAZZO ARESE BORROMEO (24

STANZA CON TRIBUNA ALL’ORATORIO

o BOSCARECCIA CON S. EUSTACHIO

Corrado Mauri

Entriamo nella stanza a cui abbiamo già accennato, attraverso l’illusorio porticato. Siamo in una Boscareccia alquanto diversa rispetto alle altre, purtroppo non è più possibile apprezzarne la pittura essendo stata recuperata, come abbiamo detto, nei restauri del 2000-1, dallo scialbo settecentesco, che contenendo della calce ha bruciato lo strato superiore dell’affresco. La diversità si evidenzia per due particolari, la prima è una tonalità generale verde molto più intensa e marcata rispetto alle altre tre boscarecce che hanno una tonalità più spenta e bruna.

La seconda è che ogni parete raffigura un singolo episodio e con i soli partecipanti, diversamente dalle altre ricche di continue presenze. Qui i paesaggi rimangono praticamente deserti. La spiegazione è legata ad un aspetto evidente: nella Stanza c’è una finestra che si affaccia sul Presbiterio e relativo altare dedicato a San Pietro da Verona Martire, (da qui la denominazione Stanza con tribuna all’Oratorio) quindi c’è uno stretto rapporto con un ambito religioso. Nel 2012 Marina Napoletano ed io abbiamo scritto un breve saggio su questa Stanza per i Quaderni di Palazzo Arese Borromeo[1] dell’Associazione “Vivere il Palazzo e il Giardino Arese Borromeo” a cui rimando per un approfondimento, in sintesi la Stanza era stata intitolata “Boscareccia di S. Eustachio” dal prof. Spiriti che riferiva al santo tutti gli episodi, mentre Marina,  facendo la puntuale analisi della storia del Santo glie ne ha attribuito uno solo, da qui la variazione dell’intitolazione: “Boscareccia con S. Eustachio”. Gli altri soggetti sono indipendenti e cioè: sulla parete nord dei giovani si stanno facendo il bagno o lavando in un fiume, è una situazione serena e tranquilla con dei bovini che pascolano, l’acqua che lava, purifica è un chiaro riferimento al Battesimo, dopo il quale ci si può avviare con tranquillità anche su strade impervie, come il viandante raffigurato, che affronterà dei ponticelli alquanto precari.

Sulla parete ovest, c’è un ampia valle dove scorgiamo due anse di un fiume e prati, sulla destra ci sono due figure o almeno quello che resta e che giustamente non è stato possibile integrare nei restauri per non compiere una arbitrarietà, c’è una figura in piedi, priva di testa e che indossa un saio o tonaca grigia, individuabile come frate o religioso, di fronte un altro uomo visibile dalla vita in giù, inginocchiato. Le ipotesi possibili sono che sta ricevendo un qualche cosa dal frate o si sta confessando, è significativo l’albero totalmente rinsecchito a sinistra.

Alla parete sud, a lato della finestra, una serie di balze rocciose, ricoperte comunque da un prato e un ruscello, hanno in cima un arco naturale, ricoperto di vegetazione con una croce, difronte alla quale, inserito nel verde e seduto su una roccia un uomo nudo, ricoperto solo di foglie intorno ai fianchi e con le mani giunte è in preghiera, dunque un eremita. Soggetto non nuovo, incontrato nella Boscareccia grande e che riaffronteremo nelle Sale ancora da restaurare. Ma anche l’arco naturale l’abbiamo già incontrato nell’appartamento alla Mosaica (Ninfeo) al centro del quale c’è un cervo, un annuncio al piano terra che lo avremmo incontrato più avanti. I rimandi ed i collegamenti tra i vari ambienti sono costanti e frequenti, la sapienza e la cultura non è a compartimenti stagni, tutto è collegato ed in continuo rapporto.  Alla parete est ci sono la porta che immette nella Cappella privata e la finestra-tribuna a doppio battente e che si apre sull’altare di S. Pietro Martire. In mezzo l’affresco che racconta l’unico episodio che si riferisce a S. Eustachio, dove rincontriamo il cervo che fa, sì da spettatore alla scena, ma la rende perfettamente individuabile nel suo svolgersi, in uno spazio ben circoscritto davanti ad una caverna sul cui ingresso è infissa una croce che qualifica ulteriormente l’avvenimento.

Un uomo, con abito corto e azzurro con pugnale appeso alla cintura e cappello piumato, si china ed abbraccia un adolescente, all’abbraccio assiste un altro giovane con abito rosso e mantello, l’incontro è osservato dal probabile scudiero del personaggio in azzurro, che tiene la briglia di un cavallo bianco bardato ed è affiancato da due cani. Alla scena sono spettatori attenti ben quattro animali. Alquanto evidente il riferimento al racconto dell’episodio dell’incontro di Eustachio con i due figli, dopo ben oltre 15 anni di separazione, come è nella descrizione che fa Jacopo da Varazze nella sua Legenda Aurea, (storie di Santi). A completare la lettura degli affreschi manca lo spazio sotto la finestra, a destra dell’ingresso, in cui ritroviamo la raffigurazione di una probabile leonessa, dato che non c’è la criniera, che sia per le condizioni della pittura, sia e soprattutto per la scarsissima qualità del pittore, che si è improvvisato animalista, nonostante la scarsa conoscenza dell’anatomia degli animali. Basta guardare il tentativo di disegnare una coda che si attacca sopra le anche e non al termine della spina dorsale e sembra più un fiore. Anche sotto la finestra-tribuna c’è un altro felino che dalle macchie del manto si direbbe un leopardo, anche lui messo alquanto male nel disegno della testa e del collo. L’elemento importante è che entrambi sono tranquillamente accovacciati e non aggressivi, e corrispondono alla narrazione in cui due belve rapiscono i figli di Eustachio, da qui una conferma del relativo episodio.

Risulta più che evidente che in questa Stanza la Religione è la vera protagonista, non solo ammansisce le belve, ma innaffia la vegetazione rendendola più rigogliosa e verdeggiante, che è il tono dominante di questi paesaggi, rispetto a quelli delle altre boscarecce. Naturalmente essa rimanda anche al battesimo che purifica e salva l’anima dei credenti. 

Per quanto riguarda l’esecuzione pittorica ritengo che siamo difronte a due mani, un pittore capace nelle figure che è l’autore dell’episodio con S. Eustachio, dove si manifesta una conoscenza di buon livello delle proporzioni anatomiche, delle figure, ma anche degli animali, e che non è il Ghisolfi, per la chiara differenza di pennellata, ma anche per un altro motivo che adesso vediamo. Definirei il pittore a cui spetta tutto il resto della Stanza un pedestre imitatore del Ghisolfi, probabile collaboratore della bottega. Infatti, nei modi e nel costruire la vegetazione fa puntuale riferimento o meglio copia, le invenzioni della Boscareccia grande, ma senza le variazioni sia di tonalità che di sensibilità di tocco nelle pennellate. E questo è ben evidente nonostante le cattive condizioni della pittura.

Ciò mi conferma la probabile cronologia di questa stanza che corrisponde a quella della Galleria, che, come abbiamo visto, va dal 1663 al 1665. Nel 1664 il Ghisolfi risulta prima a Roma e poi a Vicenza per gli affreschi in Palazzo Trissino Baston, quindi non può essere in Cesano, ecco il necessario intervento di un suo sostituto o collaboratore milanese che, appunto, si rifà alla Boscareccia Grande. Infatti, intorno alle pareti abbiamo come una costante e continua cornice vegetale, ma uniforme. Se osserviamo le pennellate, esse sono uguali nello spessore, si sovrappongono su un andamento preciso come se seguissero una strada e sono prive di variazioni di colore e tono, non esistono le varianti di primo piano o di fondo, viene costruita una muraglia vegetale continua e piatta, priva di senso spaziale. Nessuna difficoltà ad assegnargli anche le due pacifiche belve od i bagnanti, nonché l’eremita. Un accenno di profondità è percepibile nel cielo e nelle nuvole. Qui viene meno la costante qualità, e ciò va messo in conto anche in un grande cantiere come quello di Cesano.


[1] Marina Napoletano – Corrado Mauri, La Sala della boscareccia con Sant’Eustachio inQuaderni di Palazzo Arese Borromeo”, Anno V, n° 1, maggio 2012.  www.vivereilpalazzo.it